Crudo, scuro, inquieto, euforico. Sono questi gli aggettivi con cui Sethu (all’anagrafe Marco De Lauri) definisce se stesso e la sua musica. Una passione entrata in casa grazie al fratello gemello Jiz che non a caso lo accompagna sul palco del Festival di Sanremo 2023. Le due Cause Perse, come recita il brano in gara, sono infatti proprio loro, o meglio si sono sentiti tali quando attorno le l’incertezza, l’ansia, la paura e soprattutto i detrattori li hanno fatto sentire così.
La reazione? Una e una sola, sempre la stessa, sempre insieme: la musica, in cui sprigionare. più che la rabbia, l’istinto e l’irruenza. Tra la cameretta in cui strimpellavano le prime note e il teatro Ariston, c’è tutta l’irrequieta voglia di evadere di chi nella provincia finisce per sentirsi troppo stretto. E allora, ecco Milano, dove Sethu arriva a firmare con Carosello Records e, ora, il trampolino di Sanremo.
Il pezzo che ti ha portato al Festival di Sanremo è Sottoterra: come hai vissuto le settimane in preparazione alla kermesse?
Eh, sono state settimane belle stressanti e dure però mi hanno fatto crescere molto. Dal punto di vista tecnico, perché devi provare tanto, e come esperienza. È proprio un percorso che mi ha dato tanto già adesso. Sono veramente curioso di vedere come andrà la settimana, che dicono tutti essere infernale! Sono contento.
Il Festival, o meglio la partecipazione al festival, come entra nei tuoi orizzonti di artista?
Diciamo che ho fatto tante cose, dal punk al rap, e sono passato tra tante bandiere però ho sempre avuto un po’ questa idea del festival in testa. Nel senso che, pur provenendo dal punk, a me il pop piace da sempre e ho sempre tenuto d’occhio Sanremo, negli ultimi anni in particolare. Quando poi è arrivata la possibilità di provare tra i giovani e ho detto semplicemente ‘facciamolo’. E quindi adesso me la sto vivendo così… sono contento di essere qua, ansiato il giusto, insomma anche tranquillo. Comunque sono sul palco con mio fratello, quindi semplicemente siamo noi lì che cerchiamo di spaccare.
E non poteva che essere così, mi pare di capire. Di fatto, le due Cause perse sul palco musicale tradizionalmente più importante. Quale sapore assume questa condivisione?
Sì, esatto. Anche quando mi facevo i viaggi da solo, mi sono sempre immaginato io e mio fratello sul palco di Sanremo. Dicevo: chissà se avverrà mai una situazione così, chissà come sarebbe… Mi sono sempre immaginato con lui ed è una cosa fighissima. È una soddisfazione anche un po’ personale perché siamo al festival un pezzo scritto solo da me e lui. Dalla nostra cameretta all’Ariston quindi. Sì, siamo le due Cause perse sul palco.
C’è anche un senso di riscatto? E rispetto a chi o a che cosa?
Alla fine è un riscatto personale nel senso che io sono un ragazzo che ha avuto un po’ di problemi. Sai, ho pensato molto nella mia vita forse anche troppo e, come dico anche nel pezzo, a volte pensi che tutti gli sforzi di essere felice siano van. In tutto questo, ho sempre avuto mio fratello e abbiamo sempre avuto la musica con noi. L’abbiamo portata avanti finché, alla fine, qualcosa si è mosso. Per noi questo è un piccolo ma grande risultato e nella nostra vita sarà una cosa che ricorderemo sempre. Quindi direi che è un po’ riscatto personale nei confronti proprio di me stesso.
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Il vostro è un pezzo che spettina: c’è irruenza, c’è rabbia, c’è urgenza che si fa sfogo. Quanto ti contraddistingue (musicalmente ma anche forse generazionalmente) questa attitudine e come nasce?
Io penso che la rabbia, non in accezione negativa, sia un modo di tirar fuori le cose in maniera diretta, dallo stomaco. E urlare su questo pezzo è stata una cosa che mi è venuta proprio spontanea. Penso che anche questa rabbia, o istinto, faccia parte della mia generazione che fatica tanto esprimere una parte di sé. Così, quando esce, è qualcosa di forte no d’impatto. Questo reprimersi continuo a una certa deve esplodere. Ed è quello che, nei limiti, vorrei fare un po’ sul palco dell’Ariston. Su questo pezzo sarò istintivo.
Inizi dicendo ‘non puoi farmi sempre le stesse tre domande’: ma ci sono queste domande o è un modo di dire?
È un modo di dire. Sai, quando tu hai qualcuno che ti fa sempre le solite domande e tu non cambi mai le risposte. Ok, queste domande me le hai fatte un anno fa, tre anni fa, cinque, dieci… siamo sempre al solito punto: io sono questo non cambio e perché ho capito cos’è che mi fa stare bene nella vita. E voglio proseguire per quella strada.
Quanto riuscire a difendere anche sogni troppo grandi per queste tasche può zittire la guerra che c’è fuori che è poi quella di chi ci vuole a terra?
Secondo me è tutto, perché questo mondo a volte ti mette in guerra con gli altri ma anche con te stesso. Quindi, dare spazio a ciò che ti fa stare bene, in questo caso i sogni piccoli o troppo grandi come dico io, è tutto. E non è un rifugiarsi in qualcosa di onirico ma è proprio dare veramente spazio a ciò che ti fa stare bene in un caos che non è semplice gestire.
A Sanremo giochi quasi in casa, da savonese… quanto devi alla tua città dal punto di vista artistico e quanto invece, penso anche al tuo trasferimento a Milano, ti ci sei sentito stretto?
Guarda, io penso che alla fine chi viene dalle città piccole lo sa, è anche un po’ un luogo comune ma è vero. Savona è una città chiusa, provinciale e noiosa soprattutto, ma è proprio questa noia che stimola la creatività. Infatti, a Savona ci sono tantissimi artisti giovani, veri e propri diamanti grezzi; è un vivaio incredibile di artisti. Una città piccola crea, poi, quest’esigenza di fuggire dalla noia provinciale. Quindi, mi ha tolto qualcosa però dall’altra parte sento che mi ha dato tanto anche dal punto di vista della determinazione, della voglia di non fermarsi.
Hai scelto i BNKR44 per la serata cover: punti al bonus rave del FantaSanremo?
Sì (ride, ndr)! Si prova a vincere il bonus rave, portiamo altre persone facciamo un bel casino… e poi figurati siamo sul palco in otto che cantiamo, quindi si moltiplica per otto la possibilità di avere bonus! I BNKR44 sono un collettivo di ragazzi di Empoli, che secondo me esprime bene quello che è il nuovo pop, molto contaminato libero. Abbiamo scelto di portare Charlie fa surf dei Baustelle che quest’anno compie quindici anni. È un pezzo che inizia con una frase molto forte e lo trovo molto attuale.
L’incontro con l’orchestra come è stato?
Diciamo che quando scrivi un brano nella tua cameretta non lo pensi per un’orchestra, quindi sentirlo arrangiato e suonato così un’esperienza assurda. Poi il maestro Enrico Melozzi ha fatto veramente un gran lavoro, perché non ha stravolto il brano ma ha aggiunto solo quello che bastava per includere il pezzo nella dimensione orchestrale . Lui è veramente il numero uno.
Del cast, c’è qualche artista che ascolti o che più di altri ti incuriosisce ascoltare, magari conoscere?
Beh, sono curioso di conoscere un po’ tutti perché alla fine sono artisti importanti nella scena italiana. Se devo fare nomi, ti posso dire Lazza e Madame che ascolto e stimo molto, Mara Sattei, ma anche una Giorgia che è leggendaria o un Gianluca Grignani… Veramente quest’anno il cast è vario, tre passato presente e futuro.
Nella settimana del festival esce l’EP, biglietto da visita ufficiale: se dovessi descriverlo e descriverti quale o quali aggettivi useresti?
È un po’ la una fotografia dell’ultimo anno e mezzo di musica. Ci sono sia tracce molto dritte tipo Cause perse e Sottoterra ma mi sono ritagliato uno spazio anche più introspettivo dove rappo. E una ballad. Mi piace vivermi questa cosa dell’essere sai rabbioso però sono anche un tipo molto introspettivo, un tristone comunque.
E dopo Sanremo?
Guarda, la mia testa si ferma a Sanremo adesso! (ride, ndr) In realtà no sto pensando molto al dopo perché ho tanta voglia di portare in giro live la mia musica e mi voglio richiudere in studio di nuovo a tirar fuori i pezzi per uscire con roba nuova.
Foto di Claudia Campoli da Ufficio Stampa Carosello Records