Le multinazionali della discografia guadagnano sempre tanto e gli artisti sempre meno. L’industria della musica è realmente in crisi?
Si parla e si scrive continuamente della crisi dell’industria musicale, del fatto che fare musica non sia più così remunerativo, ma ci sono notizie che sembrano mostrare il contrario. Sony Music e Universal Music Group guadagnano più di mezzo milione di dollari all’ora.
Sembra una quantità di denaro enorme, specialmente per un mercato musicale che viene sempre raccontato come in crisi.
Nei primi sei mesi del 2018 Universal ha guadagnato poco più di 1,44 miliardi di dollari dallo streaming musicale, mentre Sony Music ha generato 943,7 milioni di dollari. Ciò equivale a un aumento di circa il 34% per Universal e del 39% per Sony rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il conto è presto fatto: 92 milioni di dollari a settimana, 13 milioni al giorno, 550.000 l’ora solo dallo streaming. E’ evidente che la salute del music business è ancora di ferro e che le entrate dello streaming stanno arginando la perdita per le non-vendite di supporti fisici, CD, cassette, vinili, DVD.
Altro discorso è quello che riguarda la percentuale dei guadagni dello streaming che va agli artisti. Gli artisti, infatti, incassano solo il 12% di tutte le entrate che genera la musica, mentre per le etichette il guadagno sale.
Gli artisti, poi, dalla loro percentuale devono sottrarre i costi, le percentuali del manager, i costi di un avvocato e altre spese. Se l’industria musicale trova il modo di sopravvivere e aumentare il fatturato, spesso gli artisti rimangono indietro e sono loro a vedersi diminuire i guadagni. Per questo molti nomi grossi della musica mettono su la loro etichetta, in modo da aver controllo artistico, ma anche controllo economico della propria produzione musicale. La distribuzione, che prima era esclusivamente gestita dalle multinazionali discografiche, ora è obsoleta per la maggior parte dei casi, perché lo streaming e i negozi on line non hanno bisogno di distribuzione del prodotto.