A dieci anni dal brano che gli regalò ‘il leoncino con la palma’, Marco Mengoni torna a Sanremo con ‘Due Vite’. L’obiettivo? Divertirsi.
Con L’Essenziale e Bellissimo, Marco Mengoni apriva ufficialmente il Festival di Sanremo 2013 che lo avrebbe poi visto trionfare. Dieci anni dopo, decine di dischi di platino in bacheca (68 per la precisione) e un tour negli stadi già in calendario, l’artista torna all’Ariston con Due Vite. E se un decennio fa quel palco arrivava in un momento discriminante per la sua carriera, oggi lo spirito è ben diverso. Alla ricerca del divertimento, consapevole di essere già al timone di un viaggio bellissimo.
Torni sul ‘palco del delitto’: viene da chiederti chi te l’ha fatto fare?
(Ride, ndr) Eh… Allora, la verità è che un po’ me l’ha fatto fare Marco Mengoni: è lui che si prende la briga di mettersi in competizione con se stesso. Quindi, ha pensato di tornare dopo dieci anni per mettersi alla prova perché salire su quel palco è una sfida. Un po’, me l’ha fatto fare il team con cui lavoro, un po’ Amadeus e un po’ la canzone stessa, che a un certo punto ha bussato e mi ha chiesto un giretto su quel palco. E alla fine è andata così.
Con quale attitudine partecipi a questo Sanremo 2023?
Sinceramente lo scorso anno, da ospite, un po’ mi era venuta una certa voglia di tornare in gara ma non ci avrei creduto. “Tu, Marco, di nuovo al festival…? No ma dai”, invece è successo. L’ho ripetuto spesso negli anni, mai direi mai… Nelle ultime edizioni, Sanremo cresce sempre di più anche lontano dalla competizione che formalmente c’è nella sua costruzione, e va bene. Io non sento la gara, anzi non vado in gara, non sento questa competizione.
Come stai vivendo il fatto di essere tra i favoriti?
Ovvio che credo nel mio pezzo, ma più che altro sento l’atmosfera di esserci ritrovati. Mi pare che ognuno voglia fare bene il suo, portando un pezzo di sé. Io sono contento di avere quel leoncino con la palma a casa, sta lì, e non ho velleità di vittoria. Voglio, e pretendo da me stesso, di divertirmi. Sono contento di quello che è successo dopo quel 2013 e la posizione in classifica mi interessa solo relativamente.
“Voglio portare questo pezzo, Due vite, e il suo messaggio”, prosegue Marco Mengoni. “Dentro c’è un po’ anche il percorso che sto facendo emotivamente in questi anni. Ovvio, poi, che c’è una percentuale di ansia ma prevale la voglia di divertimento… So di essere fortunato a potermi permettere di fare questo Sanremo senza troppe pressioni”.
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Uno spirito ben diverso, direi, da quello di dieci anni fa. O sbaglio?
Ogni volta che si parla di Sanremo non posso non ricollegarmi al festival del 2013 e non posso non ricordare il 2012. Per me è stato un anno particolarmente strano, in cui stavano succedendo tantissime cose nella mia vita… Stavo sperimentando e stavo cercando di capire se quello poteva essere un percorso da intraprendere o no. Ero al punto di scegliere se continuare nella musica e anche managerialmente stavano succedendo delle cose per cui avevo messo in dubbio il mio futuro musicale. Avevo pensato di tornare sui passi dell’università.
Poi la svolta.
A un ceto punto è arrivato quel Sanremo: eravamo, io e Marta Donà, la mia manager, soli. Con molta voglia di dimostrare e poche persone intorno (si commuove, ndr). Ci facevamo forza fra noi in quel Sanremo, che arrivò anche un po’ come uno schiaffo in faccia, e gli schiaffi a volte fanno bene. Il giorno prima nessuno si interessava a noi, il giorno dopo c’era gente che è tornata a chiamarci… Sono tutti segnati, perché perdono ma non dimentico (sorride, stemperando l’emozione, ndr). Per questo dico che quello che è venuto dopo non era scontato ed è stato un bel viaggio.
E rispetto al resto del cast, cosa pensi di questo quarto festival di Amadeus?
Sono contento di far parte di questo cast, credo che sia il riflesso di quello che succede oggi nella musica. Un arcobaleno di colori che porteranno, dopo la pioggia, a costruire uno spettacolo di intrattenimento top. E, poi, sono in gara con tanti amici e artisti con cui ho collaborato, altri con cui bevo gin tonic facendo due chiacchiere.
Nella serata delle cover porti Let It Be dei Beatles con il Kingdom Choir.
Già in Cambia un uomo c’era un riferimento al brano e, quindi, mi sono sentito di tirare fuori questo pezzo che forse nessuno conosce (sorride, ndr). Mi interessava portare sul palco il suo messaggio universale, dello scrollarsi quello che è stato ieri per riportalo al domani. Ci ho sempre letto un’idea di coralità e non a caso avrò con me un coro gospel molto importante. Insieme abbiamo lavorato per mettere il tutto nelle mie corde in modo coerente anche rispetto al progetto ‘Materia’, con uno spirito corale.
Il brano Due vite e il terzo capitolo di ‘MATERIA’
Veniamo al brano Due Vite.
Partendo dal fatto che secondo me, nelle canzoni, ognuno ci vede quello che vuole e che sente, il brano racconta la mia storia infinita, ovvero il mio rapporto tra la ratio e l’inconscio. Ultimamente sto dedicando un sacco di ore ai miei pensieri, con una professionista dall’altra parte della poltrona, e sto capendo che il mio inconscio mi dà degli input molto più realistici di quanto non faccia la mia mente. In Due vite ho un po’ raccontato questo rapporto, la doppia vita che si vive: quella della notte e dei sogni che, in verità, diventa molto più reale di quanto sembri nei sogni stessi, e quella delle esperienze quotidiane.
Nel testo procedi molto per immagini, come flash di una notte insonne: come si rincorrono questi pensieri?
Si alternano fotografie prese da quello che vivo nella vita di tutti i giorni e riflessioni su tante cose. Rifletto, per esempio, sul fatto che sì, sono anche un peccatore; sì, sono uno che sbaglia e sì, esistono gli schiaffi nella vita. E si deve andare avanti perché è normale avere dei momenti di noia o dei momenti di down che sembrano inutili ma servono, l’uomo ne ha bisogno.
“Due Vite, anche nella sua struttura, è una tensione continua”, spiega Mengoni. “Sembra non esplodere mai, come se si aspettasse quest’Apocalisse o questa esplosione lunare che a un certo punto mi sono immaginato nei sogni. Non è stato facile affrontare questo pezzo che ha avuto tantissimi vestiti differenti”.
Che cosa ritenevi noia e che cosa ti insegna, oggi, quella stessa noia?
Ho un rapporto conflittuale. L’ho sempre odiata e, da iper bacchettone quale sono, mi sono dato spesso delle regole. Per esempio, quando si faceva tardi con gli amici ho sempre pensato ‘insomma basta, sono ore tolte al sonno’. Pensavo che forse erano ore sprecate… ma ho capito che quelle serate mettevano qualcosa che arricchiva il rapporto. Quello che credevo noia, inutile e superfluo è diventato un valore. Nel mio lavoro la noia, anzi, è importantissima: è quel limbo dove qualcosa si sta muovendo sotto e si paga con l’inconscio. Quei momenti lo ritrovi in un attimo di creatività. Ed è importante viversi tutto perché se non vivi anche la noia non puoi apprezzare il resto.
Diciamo che nei prossimi mesi avrai poco tempo per annoiarti, tra la chiusura del disco e gli stadi. A che punto sei con il terzo capitolo di ‘MATERIA’?
Siamo a buon livello, stiamo arrangiando e finendo alcune parti di scrittura. Quando uscirà? Diciamo dopo Sanremo e prima del tour… Però, devo dire che sono contento già ora di come sta venendo. E non mi succede spesso, quindi segnatevi queste parole (sorride, ndr).
Oltre che sul palco del teatro Ariston, Marco sarà di casa al Lido Mengoni, hub creativo che permetterà di vivere il festival da un punto di vista inedito. Sarà, infatti, luogo di incontro, gioco e improvvisazione con amici e colleghi. Non mancherà una radio sempre accesa, per i giorni del festival, infatti, sarà disponibile h24 Radio Lido Mengoni, web station sull’app Stationhead. Ogni giorno l’artista incontrerà Fabio De Luigi, attore e doppiatore, per una chiacchiera raccolta in un podcast Caffè col limone, prodotto da Dog Ear e disponibile quotidianamente e gratuitamente su tutte le piattaforme.
Foto di Andrea Bianchera da Ufficio Stampa W4Y