Muse a Milano, due date con protagonista la band inglese allo stadio di San Siro. Il concerto organizzato da Live Nation non delude le aspettative. Il concept e la scenografia sono ideazioni di Matthew Bellamy, cantante, chitarrista e leader della band. Una personalità a dir poco eccentrica. Musicista dall’enorme talento, Bellamy è famoso per essere appassionato di temi legati alla globalizzazione, controllo mentale, climatico, teorie complottiate. Spesso nelle interviste emerge questo mondo di sottoculture di cui Bellamy è un vero esperto e abililissimo “sciorinatore”.
Muse, tra teorie del complotto e spettacolo puro
Chi non si ricorda di Haarp, il tour e album dedicato alla mitica stazione realizzata per il controllo climatico capace di dominare gli eventi grazie alla propagazione massiva di impulsi e onde magnetiche? Si, qui parliamo di tutta quella letteratura che, partendo dalla scienza di un Tesla, dalla meccanica quantistica, da Heisenberg e Bohr, arriva a Stranger Things passando per viaggi temporali, AI e buchi neri. Questi sono i temi, ed è un mondo dove un po’ ci si crede, un po’ si partecipa al gioco sotto la guida del grande Master: Matthew Bellamy. Di fatto i Muse non sono altro che una reinterpretazione moderna, anche se la band con quasi trent’anni di storia, di quel rock politico e impegnato lanciato da nomi come Pink Floyd mischiato al glam dei Queen, shakerato con Puccini ripassato nelle vocalità di York e Jeff Buckley. Lo show è tutto questo più una scenografia senza compromessi tra Lady Gaga e Roger Waters.
Muse: il tema di Simulation Theory
Simulation Theory, ultimo album prodotto, da cui deriva anche il nome del tour mondiale, ha come tema un mondo in cui le macchine hanno il sopravvento sugli umani. We are caged in simulation, così parte il super wall che domina l’intero stadio ad inizio concerto. Il tema è affascinante. Senza andare a scomodare Orwell, da Matrix in poi, la saga anni 90, tantissimi artisti hanno alzato l’allarme sul tema del controllo globale da parte dell’AI.
Muse, il power trio dai club allo stadio
Al di là di ogni grandezza scenica, lo spettacolo musicale è a dir poco eccezionale. Testimone è il successo della band in un tour mondiale proposto dopo un album buono ma non dei migliori: Simulation Theory. La grandezza dei Muse sta proprio nella formazione a tre. Un trio oggi ampiamente arricchito da sequenze effetti ed elettronica ma che di fatto riporta nello stadio la dirompente forza del power trio da club. I Muse, Bellamy in particolare, sono cresciuti con l’obiettivo di superare i propri limiti strumentali, come ci ricorda il biotic, Muse, Fuori dal Mondo, di Mark Beaumont e ci sono riusciti. La band si muove come una banchina da guerra solidamente ancorata alla sessione ritmica di Dominic Howard e Chris Wolstenholme. Lo strumento protagonista, contrariamente a quanto si pensi, è proprio il basso di Chris che anche nei mix sostiene, sempre in prima linea, la voce di Bellamy. Inutile riproporre la lista dei brani concepiti in questo modo, basta pensare alla maggior parte dei singoli.
Il concerto quindi, oltre all’estetica e alla ricchezza scenografica non può lasciare delusi perché il contenuto musicale c’è tutto dall’inizio alla fine.
In Italia tre date, due nella pirotecnica Milano e una a Roma, all’Olimpico dove ancora echeggiano le fiamme prodotte dal loro ultimo palco nel concerto, già citato, Haarp da cui ne é nato un live movie indimenticabile.