L’artista Gio Evan è l’ospite della nuova puntata del podcast One More Time di Luca Casadei, prodotto da OnePodcast e disponibile da oggi, venerdì 22 marzo, su tutte le piattaforme di streaming audio.
Lo scrittore e poeta, filosofo, umorista, performer, cantautore e artista di strada, si racconta a Luca Casadei sulla sua vita e sul suo percorso spirituale e artistico. Un viaggio nei suoi viaggi: dall’India al Sud America, da un paese all’altro a piedi o in bicicletta, passando per il mondo degli sciamani, dell’induismo, del buddismo, fino all’incontro con Gesù e attraversando anche la povertà, l’amore, la castità praticata per diversi anni. Un insieme di esperienze che lo hanno reso l’artista e l’uomo che è oggi, in grado di godere delle piccole cose della vita e di distaccarsi dal mondo materiale, capace di chiedere aiuto al prossimo e di aiutare il prossimo a sua volta.
Gio Evan: «Nasco in strada, sono iper sensibile»
Sulle sue origini Gio Evan racconta: «Io nasco in strada. Proprio fisicamente. Mia madre francese e mio padre pugliese si erano trasferiti a Rimini per fare le stagioni: mio padre era cuoco e iniziava ad avere una carriera promettente. Da Rimini un giorno scesero in Puglia per le vacanze di Pasqua, per le radunate familiari e mia madre durante la tratta verso il Sud – eravamo a Vasto, io ancora non c’ero – dice: “guarda, non ce la faccio a trattenermi, devo fare un figlio”. Mio padre accosta e io nasco proprio lungo la tratta, poi mi hanno portato subito in ospedale a Molfetta. Dopo siamo ritornati a Rimini e da lì poi ci siamo trasferiti in tante case, fino ad arrivare all’Umbria. Io non ho mai avuto l’occasione di mettere delle radici fin da piccolo. C’è una battuta bellissima che mio padre mi ricorda. Io sono nato su un campo di rovi, accostato a un autolavaggio dismesso, e mio padre disse: è nato in mezzo ai rovi, è rovinato, questa è stata la sua profezia, azzeccata in pieno. Poi fino ai 14 anni vivo a Gubbio, lì si vive in campagna».
Sulla sua ipersensibilità: «Ero veramente di una ipersensibilità pazzesca, quasi diagnosticata dai medici quando avevo 4 o 5 anni. Se tu mi davi un bacetto il mio corpo lo percepiva come un pugno, l’abbraccio doveva essere ben calibrato. Si è pensato all’autismo e poi il medico di famiglia disse: “è ipersensibile, sente, sente la vita”. Ho sempre saputo di avere dei grandi “intuiti” e sentivo la vita particolarmente. Io sono ora un poeta, era il mio destino e se avessi fatto qualcosa di diverso sarei stato irragionevole nei miei confronti. È il compito degli ipersensibili, quello di non far dimenticare la sensibilità. Quindi ora sto da Dio, devo però prendere le mie precauzioni, devo stare vicino alla natura e avere contatti forti con le querce, con il mio tempio, dare e ricevere tanti abbracci: ho un figlio e una compagna con cui pratichiamo costantemente abbracci e tenerezze ad alta voce».
Il sogno dell’India
Sul sogno che lo porta in India Gio Evan racconta: «Succede che appena arrivo all’International Ashram University of Ayurveda di Corinaldo, nelle Marche, per 13 notti faccio lo stesso sogno: vado in India, ci sto 13 giorni e muoio al tredicesimo. Mi sveglio con il panico e penso: “questo può essere un messaggio che io me ne devo andare da qui”. Dico al maestro: “qua c’è un malessere che mi sta attanagliando”. Gli racconto il sogno e lui mi dice: “amore mio, è la tua prima chiamata. Tu devi andare in India“».
E su quando è stato arrestato in una foresta: «In India mi sono messo nei guai. Ho fatto un mese di digiuno in una foresta di riserva dove c’erano tigri ed elefanti selvaggi e lì ci sono venuti a prendere con i fucili. Ci hanno sbattuti dentro in prigione, ma ci hanno rilasciato perché eravamo in tanti ed eravamo tutti buoni. E quando hanno saputo che eravamo lì per il Kumbh Mela, il ritiro più importante al mondo di spiritualità, ci hanno liberato».
Sui miracoli che si compiono per diventare Baba, o Sadhu, ovvero induisti asceti: «Non si diventa Baba a caso, lo si dimostra facendo miracoli. Ad esempio, Sai Baba ti toccava la testa e usciva una marea di cenere. Amma è stata vista di 20 chili e di 150 nel giro di mezz’ora con una meditazione. Babaji è stato 40 giorni in meditazione. Quando ha aperto gli occhi, un giornalista gli ha detto: “adesso come farai a bere? C’è la siccità in città” e lui ha risposto: “ma a me basta sussurrare dolci parole al vento e mi porterà l’acqua” e ha incominciato a piovere dalla sua testa. Questa è un’esperienza che ho avuto anch’io durante un ritiro spirituale, ho incominciato a perdere acqua dalla testa ed è stato magico e bello, perché avevo sete. Lì sono stato riconosciuto dal Sadhu».
Gio Evan racconta la prima volta che ha incontrato Gesù
Sulla sua “morte” al tredicesimo giorno di digiuno e sulla prima volta che ha incontrato Gesù: «Faccio questo digiuno in una foresta. Il tredicesimo giorno ho fatto una cosa cattiva che non si doveva fare: arriva questo ‘fruttarolo’ con una cesta e mi porge un quadrato di mango. Lo accetto, non potevo spiegargli il percorso che stavo facendo. Sento che lo stomaco non accettava assolutamente quella roba. Sto male, incomincio proprio a tremare e poi faccio: “è il tredicesimo giorno, aveva ragione tutto” e comincio ad andare in panico. Mi metto nudo. Collasso e mi metto rannicchiato, incomincio a vomitare, a piangere e a defecare, ma non c’era niente.
Sto così per 8 ore più o meno – potrebbero essere stati anche due giorni o venti minuti, il tempo non fa più parte della mia vita: non lo bado, non lo creo e non lo credo – fino a che, quasi all’alba, sento una mano bollente sulla guancia che mi fa girare verso il cielo. Qui le stelle si uniscono, fan colloquio, ed esce il volto di Cristo. Ragazzi, io Cristo non me lo sono mai considerato. Mi dice: “Gio ti sei allontanato troppo”. Faccio due passi e trovo un libro per terra bianco così piccolo, ancora è con me. Lo prendo, lo giro e c’è scritto: “I Vangeli” ed ero da solo. Da questo momento in poi dico: “ok io voglio diventare come Gesù”».
Su come è diventato Gio Evan in Sud America: «Devo andare in Sud America, perché devo diventare uno sciamano. Trovo uno stregone, Josè, e vado da lui in bicicletta, parliamo e passiamo un anno insieme. Ho provato le estremità più grandi: pipe strane, ayahuasca, peyote, funghi, digiuni di 30 giorni, mi hanno pinzato i capezzoli e mi hanno fatto stendere orizzontale per otto ore. Poi Josè dopo un anno mi ha battezzato Gio Evan».
L’incontro con la compagna e la nascita del figlio
Su quando fa l’amore solo toccando la mano della sua compagna: «Vado con Lucia in Francia a piedi, ci mettiamo sei mesi. Qui facciamo le potature. Finita una potatura di dieci ore ci mettiamo sul letto. Erano letti a castello ed eravamo solo io e Lucia a dormire lì. Abbiamo fatto completamente l’amore con un dito. Ci siamo toccati le mani da letto a letto ed è stato proprio potente. Abbiamo fatto poi una volta l’amore e lei è rimasta incinta. Quando siamo arrivati in Italia, ci siamo fermati a Milano. Qui c’era Amma, questa santona che dà gli abbracci come missione. Decidiamo di fare un abbraccio di coppia e quando ce ne stiamo andando, perché dura un secondo l’abbraccio, lei dice: “riportatemi immediatamente quei due” e ci dice che c’è la terza luce, ma noi non lo sapevamo».
Sulla nascita di suo figlio e su come diventa scrittore: «Nasce mio figlio, mi ritrovo nella merda. Vendo castagne, sono triste. Vivevamo in una casa così brutta e povera che avevamo il cesso fuori casa ed era inverno e io dovevo imbacuccare mio figlio così tanto da attraversare i campi di neve per andare al bagno, per fargli il bagnetto. Trovo un lavoro terribile: il centralinista delle cartomanti. Provo a fare sta roba qua.
Dura undici giorni. Cominciavo proprio ad avere delle crisi di pianto e dico: “Lucia io devo lasciare il lavoro perché sto prendendo in giro l’umanità”. Ovviamente non potevo pagarmi la casa, quindi troviamo un garage di merda e guardo mio figlio e dico: “ma che padre di merda sono?” e Lucia lì mi salva e dice: “sei lo scrittore più brillante che abbia mai conosciuto”. Quindi mi invento un romanzo epistolare. Faccio i libri, li auto produco chiedendo un prestito. Lì è scattato tutto. A Roma faccio una serata in un posto, è pieno di gente, c’è una che sembra molto importante e mi dice: “quello che fai tu ti sta per cambiare la vita…”».