Il 27 ottobre esce ‘odio’, nuovo singolo di Michele Bravi che anticipa il suo prossimo progetto discografico. Ne parliamo con l’artista.

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Michele Bravi è uscito dall’armadio. Sì, proprio fisicamente ma anche un po’ metaforicamente. È questa la prima osservazione che faccio all’artista a inizio intervista, ricordando che solo qualche mese fa la nostra precedente chiacchierata su Zoom si svolgeva proprio dall’armadio di casa sua. Questa volta, Michele ha scelto il salotto e, in fondo, a disco scritto questo spostamento ci racconta anche di un lavoro artistico che sta per vedere la luce. In attesa dell’album, intanto, venerdì 27 ottobre arriva odio, traccia che fa da apripista al prossimo progetto.

Quando ci siamo lasciati nella precedente intervista, avevi promesso che ti saresti chiuso in studio a lavorare. È stato così?

Sì, ho mantenuto fede alla promessa nel senso che il disco è finito completamente almeno nella scrittura. Adesso manca la bella copia, diciamo, quindi chiudere gli arrangiamenti. L’unica cosa a cui non ho mantenuto è il fatto di chiudermi in studio visto che i momenti in cui ho scritto di più sono stati in viaggio. Il nuovo disco si porta dietro tanto Parigi, in cui sono stato un sacco di volte, Amsterdam, un po’ di Londra. Quindi è un disco più europeo in quel senso.

La realtà dello studio di registrazione la soffro anche un po’, cioè non amo l’idea di entrare in studio la mattina e sentirmi quasi obbligato a uscirne la sera col pezzo. Quell’ansia da prestazione, artisticamente, non la gestisco molto bene quindi mi è più facile scrivere, che ne so, al tavolo di un ristorante o al parco. Davanti al Louvre, magari: quella cosa lì mi aiuta di più. Però, ecco, la promessa l’ho mantenuta ma a mio modo.

Michele Bravi
Foto di Alek Pierre da Ufficio Stampa

Per un disco che si preannuncia come un racconto d’amore, hai deciso di partire dalla sua versione più ossessiva pubblicando un singolo come odio. Come mai?

Quando realizzo un disco, per me è sempre importante individuare un concept che poi possa essere tradotto per tutte le canzoni. Senza anticipare troppo, l’album che uscirà parla di amore e di relazioni a due, e contiene tanti giochi di proiezioni e metafore, soprattutto nella parte lirica. E parlerò anche dell’amore in positivo, ovviamente. Mi piaceva l’idea di creare questa opposizione partendo da una massima in cui mi riconosco.

Ovvero che si può dire amore con la persona che è a fianco, non con la persona che hai di fronte. Ecco questo pezzo parla di amore della persona che hai di fronte, con tutta l’opposizione tra odio e amore. È una sorta di rapporto disfunzionale, dove è difficile poi trovare la verità per capire se quello di cui stai parlando è un sentimento che collima con l’amore o se è solo una dipendenza del corpo. Mi piaceva proprio partire con questa chiave più ossessiva visto che, di solito, l’incipit di tutti i miei progetti è stato sempre al contrario. Ho sempre messo davanti la parte più romantica mentre il lato più erotico o spavaldo arrivava nel secondo o nel terzo capitolo.

Hai rovesciato la medaglia.

Ecco, sì, questa volta mi piaceva l’idea di cambiare e di invertire questo ciclo normale che ho sempre avuto nella narrativa dei miei album. E partire con la parte più ossessiva e frenetica. Tra l’altro, odio è l’unico pezzo di tutto il disco che ha una metrica così ostinata, così invadente che quasi non c’è spazio per il respiro. Poi, se vogliamo esagerare un po’, vuole essere anche un omaggio a Umberto Bindi e al suo brano che appunto si intitola odio ed è una delle mie canzoni preferite della musica italiana.

In quel caso c’è un’armonia molto più complessa e una lirica molto più anche seducente. Si parla dell’odio in maniera più violenta e la canzone termina con Tutto passa. Resta l’odio senza ombra di rimpianto. Insomma è un testo molto carico emotivamente e mi piaceva l’idea di creare, perlomeno nel titolo, questo omaggio nei confronti di uno dei più grandi cantautori per la mia formazione.

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Il nuovo album di Michele Bravi

Parlavi di concept, ma quando ha preso forma?

Nasce sempre un po’ durante la prima fase di scrittura. Con ‘La geografia del buio’ il concept c’era fin dall’inizio e da lì è partito tutto ma, in questo caso, son partite le prime prove di scrittura e piano piano si è individuato il concept anche in maniera abbastanza fatalista. Ho sempre la casa piena di quadernetti con appunti, liste della spesa e numeri senza un ordine e a un certo punto riapro un quadernetto completamente a caso. Così, mi sono ritrovato quello che poi sarà il titolo dell’album scritto in una parte laterale della pagina. Non mi ricordo neppure in che momento l’ho scritto né a cosa si riferisse o dove fossi. So solo che era un appunto che è stato lì e quando l’ho letto ho capito che avrebbe potuto essere un grande concept di cui poter parlare tanto da realizzare un disco.

E come si inserisce, quindi, un brano come odio in un disco d’amore?

odio è una canzone che nasce diciamo a metà del processo di scrittura, in un momento in cui avevo già esporto la parte romantica del concept. Mi mancava tutta la parentesi più ossessiva e il brano è nato in maniera molto naturale. Di solito ci metto sempre un po’ a scrivere le canzoni ma questa in particolare è nata fondamentalmente in un pomeriggio, nella stessa frenesia di cui parla.

Pensi che il tuo pubblico ne rimarrà sorpreso?

Questo non lo so, nel senso che io ho già la visione del disco e ho già in mente il percorso artistico che ne verrà mentre il pubblico ascolta sempre un pezzettino senza conoscere la prospettiva dell’album. Quindi riesco difficilmente a prevedere l’effetto e proprio per questo credo che stupirà me stesso in primis. Quando ho iniziato a pensare a quale sarebbe stata la prima canzone, ho fatto ascoltare odio a un po’ di persone di fiducia e nella mia testa era uno dei pezzi più allegri del disco.

Un mesetto fa l’ho mandato, per esempio, a Maria Grazia Cucinotta che per me è sempre un gran riferimento a livello di ascolto. Lei mi chiama e mi dice: “Michele, ma questa è felice?” e dico “Sì, adesso ti ho fatto scatenare”. “Mi hai distrutto in realtà, perché ho pianto tutto il tempo”, risponde lei. Questo per dire che non capisco poi effettivamente quale sia l’impatto emotivo dall’esterno non avendo la visione dell’interezza di un disco. E sono molto curioso, non so se potrà sorprendere…

Forse sì, venendo da disco di ballate. Quando ho iniziato a scrivere i nuovi brani, forse più per abitudine e per inerzia, ho pensato che il primo singolo sarebbe stato una ballad o comunque qualcosa di più emotivo. Non pensavo certo che il primo capitolo sarebbe stato un midtempo, però è successo. Sarà curioso capire da fuori che cosa ci si aspetta e come sarà recepita questa mia scelta.

Michele Bravi
Foto di Alek Pierre da Ufficio Stampa

Ti confronti spesso con il tuo pubblico via Telegram e via Twitch, che canali rappresentano per te?

Su Telegram mando i vocali (ride, ndr), lo faccio con tutti, cioè io mi diverto proprio perché ho un po’ quest’aura di uno che parla difficile, aulico. Quindi anche coi miei amici, mi parte proprio il Leopardi che è dentro di me! Mi diverto, ma forse dovrei placare un po’ questa ossessione…. (ride,  ndr). Poi c’è Twitch, che per me è un luogo dove posso parlare direttamente col pubblico senza troppo fraintendimento. Quando devi raccontare un processo creativo che sta dietro un disco, il limite col racconto della vita privata è molto sottile perché la scrittura va in base a quello che vivi.

Michele Bravi
Foto Kikapress

Per questo, ho sempre un po’ paura ad esporlo su un piatto mediatico perché rischia di diventare altro, più gossip oscurando la canzone che deve invece essere al primo posto. Su Twitch, invece, mi è facile raccontare anche cose più private perché so che il racconto di cosa c’è dietro la canzone non sostituisce la canzone. Cosa che delle volte succede nel riflesso mediatico, ovvero che quella  cosa dietro la canzone va a sostituire la canzone. Ma così si esclude completamente quel processo di trasformazione che invece è il mio lavoro, perché io trasformo le cose che vivo in un momento musicale. Perdere quel processo di trasformazione è come direi che quel lavoro non interessa.

Da parte mia, anche in maniera goffa, cerco di scegliere le piattaforme giuste per dare i giusti contenuti e il giusto significato alle cose. Ecco la risignificazione delle cose che racconti mi spaventa sempre un pochino. Ma non voglio fare di tutta l’erba un fascio perché esiste anche tutto un racconto approfondito e rispettoso, però ecco succede di cadere nel sensazionalismo.

Cosa di cui per altro sono vittima anche io nel senso che mi capita di aprire degli articoli con un titolo accattivante e poi rimanere deluso dalla notizia. Su questo, quindi, faccio un po’ il papà e mi permetto di dire, quando si parla delle mie canzoni, che spiace che il mio nome possa in qualche modo metterle in ombra. Vorrei che parlassero loro mentre mi piace approfondire, e non ho mai avuto troppe paranoie a raccontarmi. Ma lo faccio in maniera sicura e tranquilla, quando so che quella cosa non va a sostituire o mettere in ombra la musica.

Michele Bravi al cinema

Oltre alla musica, continua anche il tuo impegno nel cinema. Cosa c’è in arrivo su quel fronte?

A dicembre uscirà in sala Finalmente l’alba di Saverio Costanzo dove ci sono anche io. Per me il cinema è una grande realtà e finora ho avuto la fortuna di lavorare, e di scegliere di lavorare, con dei grandi registi. A partire da Carolina Cavalli, la regista del mio primo film; era un titolo emergente, la sua opera prima ma ha dimostrato di avere un grande occhio artistico e una grande prospettiva cinematografica. È stato bello credere in quell’opera indipendente. Saverio, ovviamente, è già un maestro del cinema italiano e poter essere diretto da un artista con un tale carisma e tale professionalità è stato stupendo.

In generale, la vita mi ha regalato la possibilità di lavorare con Lily James e Willem Dafoe, voglio dire… c’è stato tanto anche se vuoi da rubare alla professionalità degli altri. Al di là della mia esperienza personale, credo che Finalmente l’alba sia un grande film che racconta Roma, che racconta l’indipendenza, che racconta la donna. Poter essere uno dei volti della pellicola e dar voce a quello che Saverio ha scritto è stato davvero bello.

Rimanendo in campo visivo, come sarà il videoclip di odio?

Allora il videoclip ci sarà ma uscirà un po’ più avanti, nel senso che adesso voglio far parlare prima di tutto la canzone. Poi, sai, per me il videoclip un po’ come se fosse un momento di cinema autogestito quindi avrà un taglio cinematografico molto forte proprio per un discorso di scelta artistica mia e di tensione naturale. Per il resto è ancora tutto top secret.

Capitolo Sanremo

Dal set al palco dell’Ariston: come la vedi?

Alla parola Sanremo te ne aggiungo un’altra, che è speranza nel senso Sanremo è sempre una grande possibilità. Non ho mai capito chi nega di provarci, magari per il rischio di esserne escluso. Il festival è una gara e io mi metto nei panni di un direttore artistico che riceve trecento brani e ne puoi inserire una ventina. È ovvio che i no saranno sempre più dei sì.

In questo momento, ho un progetto discografico pronto e credo di aver individuato una possibile idea musicale che mi piacerebbe cantare proprio su quel palco. Poi, da qui a dirti sono dentro, non posso. Non lo so io in primis. E succede davvero così, che noi artisti scopriamo di essere in gara a Sanremo veramente insieme al pubblico. L’ultima volta, per dire, era con Inverno dei fiori e l’ho scoperto al Tg1, te lo giuro. Uno ovviamente sa se ha inviato o meno dei brani da sottoporre come candidatura ma la conferma di esserci la si scopre in diretta.

Quindi aspettiamo il fatidico annuncio di Amadeus.

Mi rendo conto che ogni direttore artistico ha una propria idea di festival e i posti son quelli. Quindi, ci sono dei colori musicali che vanno bene per rappresentare lo spettro della canzone italiana. Se potessi essere uno di quei rappresentanti è ovvio che sarebbe un onore immenso. Sanremo ti dà la possibilità di suonare con un’orchestra, di entrare nelle case degli italiani con la tua musica. Ed è proprio bello da fare, un momento bello di orgoglio professionale. Ripeto non sempre succede ma è giusto anche così. Come quando faccio la tracklist finale di un disco: rimangono fuori delle canzoni non perché le schifo o non mi piacciono ma perché non sono in linea con un certo tipo di racconto. Questo è il lavoro del direttore artistico ed è un lavoraccio.

Lato prosa, invece, stai scrivendo qualcosa di nuovo?

Guarda, io scrivo sempre perché mi piace proprio. E scrivo tanto in questi miei quadernetti però in questo momento non è nei miei piani pubblicare altri libri (il primo romanzo è Nella vita degli altri, Mondadori 2018, ndr) Mentirei nel dirti che non lo farò mai più. Mai dire mai, vedremo. Ma in questo momento il mio bisogno personale è stato quello di scrivere musica e quindi avevo bisogno concentrarmi solo su questo.

Foto di Alek Pierre da Ufficio Stampa