La scena dance in Italia, la ricerca musicale e i live: la nostra intervista ai PARISI, duo elettronico di Salerno.
Da Salerno a Londra fino a Las Vegas, dove apriranno i live di Anyma al The Sphere il prossimo 30 dicembre: il viaggio dei PARISI – il duo musicale elettronico composto dai fratelli Marco e Giampaolo Parisi – sembra appena iniziato ed è già ricco di posti e sensazioni spettacolari. Lo dimostra l’ultimo singolo RAIN (con Clementine Douglas) che, a loro dire, segna l’inizio di una nuova parentesi: un progetto che porta finalmente il nome PARISI. Eppure, nel cv dei due fratelli già spiccano nomi come quelli di Ed Sheeran, Black Eyed Peas e Clementino, oltre a Fred Again che è valso loro anche un Grammy come produttori dell’album Actual Life 3 (January 1 – September 9 2022).
«RAIN è speciale. – ci dicono subito – Ci siamo trasferiti in Inghilterra e abbiamo iniziato a conoscere persone nell’industria. La nostra carriera ha iniziato a crescere piano piano, fino a quando abbiamo conosciuto il nostro manager Marco. Ci ha organizzato varie session, tra cui quella con Clementine, una delle prime mai fatte. È una ragazza meravigliosa, è stato uno di quei momenti di magia in cui incontri qualcuno e ti accorgi che clicchi su ogni fronte. Eravamo in stanza, lei ha preso il microfono e ha iniziato a cantare. Quella che senti è la prima demo registrata».
Piccole modifiche successive l’hanno semplicemente resa «più club senza perdere l’essenza del pezzo», ma il vero potere di RAIN è stato far comprendere ai PARISI di dover iniziare un nuovo capitolo della propria storia. «Non avevamo idea di fare un progetto nostro – ci raccontano infatti – ma, dopo RAIN, la risposta principale da parte di tutti era Ma questo pezzo suona come se fosse vostro!. Parliamo di due anni fa. Abbiamo iniziato a pensare a un progetto nostro e siamo felici che il pezzo sia uscito. RAIN ha iniziato il progetto PARISI».
Il brano vanta il primo vocal registrato di Clementine Douglas, «lo stesso della demo di tre anni fa registrato col microfonino». Lo insegna Pino Daniele – sottolineano i PARISI – che «perdi l’emozione se la ricanti». E, in proposito, ricordano anche una conversazione con Skrillex, secondo cui «l’errore dei producer è vedere il quadro da vicino per notare i dettagli, mentre bisogna vedere l’immagine nel complesso».
Il sound dei PARISI
Facciamo però prima un passo indietro. RAIN arriva infatti dopo brani dance di tutto rispetto: High For This, Sacrifice (in collaborazione con Anyma), Lights Out, U Ok? (con Steve Angello & Sebastian Ingrosso), Tease ft. Jelani Blackman e Believe In Myself. Singoli che mostrano tutte le sfumature del duo, un po’ allergico a qualsiasi etichetta. «Abbiamo un pregio e un difetto: siamo super versatili e abbiamo un sound che si evolve sempre. – ci spiegano – Siamo super tecnologici e proviamo cose nuove. L’idea di fare un progetto nostro c‘è sempre stata, ma non pensavamo di farlo così presto. Quando RAIN ha iniziato a suscitare interesse, abbiamo dato vita a più sessioni scoprendo che ci piacciono tanti lati di noi. Come farli uscire senza creare confusione?».
Dopo U Ok?, il duo si è dunque consapevolmente spostato su «roba club che sentiamo nostra». «Quando sentiamo che è il momento giusto – continuano – proviamo a far uscire una parte più pop, sempre con l’impronta dance più dura. Tuttora la musica ha un sound che va oltre, ma ci piace e siamo super gasati perché le persone iniziano a capire i nostri colori. È un viaggio che dovete fare insieme a noi». I due fratelli si approcciano dunque a ogni canzone in modo diverso, mettendo tuttavia il brano sempre al centro. «Believe In Myself è uscito in modo spontaneo. – raccontano in proposito – Siamo sempre alla ricerca di suoni nuovi e siamo in costante evoluzione. Speriamo di non cambiare mai perché è ciò che siamo».
E, in fondo, la rivoluzione tecnologica in questo aiuta: «Escono cose nuove ogni giorno, un plugin, un suono nuovo, un nuovo sound designer. – ci spiegano – Ogni pezzo può così avere una dinamica diversa». Sempre però con due caratteristiche imprescindibili. La prima è la seaboard suonata da Marco e perfezionata proprio in questi anni a Londra: «Con High for this – ci spiega infatti – ho trovato un suono collegato alla seaboard che è la specificità del ribattutto di quel suono. Trovata quella magia e quel momento iconico, l’ho condiviso con Jack e con le persone intorno a noi».
E poi c’è «la potenza del vocal che rende il momento più memorabile. Il pubblico ci si aggrappa e ricorda la canzone». In High for this, ad esempio, il vocal «arriva alla fine del pezzo, che era strumentale. Abbiamo pensato però di mettere una piccola tagline, un elemento umano. È successo anche con U Ok?, nata strumentale. Quando inizia il pezzo, prima del lead, il vocal dice Energy e la gente già capisce. Per le robe più spinte è l’ultimo pezzo del puzzle, perché vogliamo che la strumentale guidi e racconti la storia principale».
In Believe In Myself e RAIN il percorso è invece esattamente l’opposto: «Lì scriviamo musica alla vecchia maniera. – dicono i PARISI – Ti siedi con un cantante e scrivi il pezzo, ma è sempre tutto fatto per il brano».
I live
Infine, i live. Ad iniziare dal progetto Casa Parisi, arrivato recentemente anche a Milano. «Suoniamo insieme sin da quando siamo bambini e esibirci è la cosa che ci piace di più. – racconta il duo – Ora che abbiamo un progetto nostro, abbiamo voluto creare una serata nostra. Come se portassimo la gente nel nostro soggiorno e come quando suonavamo per i nostri zii e cugini. Famiglia e casa fanno sempre parte della nostra vita, anche se la prima a Londra è stata bellissima». Per i PARISI, i loro show sono «rave quasi cinematici con tecnologie particolari e silenzi totali. La gente è scioccata perché è il primo rave della storia con momenti di totale silenzio».
Ma come mai, secondo loro, per suonare la musica elettronica si deve necessariamente andare all’estero? «Non abbiamo una risposta, dipende dalla persona. – ci rispondono – Amiamo l’Italia, ci torniamo sempre e stiamo bene, però crescendo non abbiamo avuto gli stimoli giusti per poter fare ciò che facciamo ora. È il contesto intorno a te che condiziona il risultato finale. Non volevamo essere in una posizione in cui puoi dare 100, ma il contesto ti permette di dare 50. Volevamo avere un contesto meritocratico. In Inghilterra, in sei mesi, ci siamo trovati in studio con Will I Am. Questa cosa a Salerno non poteva succedere».
Eppure l’Italia vanta una tradizione dance elevatissima, da Gigi d’Agostino a Benassi: «Siamo tra i più forti, perché non ci sono così tanti act italiani enormi come un tempo? – si chiedono – Sicuramente è un discorso di cicli: ora si vedono artisti italiani che si riprendono la scena. Siamo, ad esempio, big fan di Okgiorgio. Abbiamo anche fatto qualche sessione insieme. È un talento puro e ha un sound che all’estero verrà apprezzato. Abbiamo la sensazione di essere all’inizio di qualcosa di speciale per il panorama italiano all’estero».
Indubbiamente, concludono, «siamo in un periodo storico con un’apertura sui generi. È tutto più ampio e funziona. Non a caso questo è l’anno con più back to back al mondo. C’è più spazio per l’esplorazione, è un momento positivo. Secondo noi sta tornando il rave, il club, l’essere insieme in quel momento».