Verità artistica, metafore e l’importanza dell’inclusione: Virginio ci racconta ‘Amarene’ e molto altro. L’intervista.
Si intitola Amarene il nuovo singolo di Virginio, che segue le orme – sonore e liriche – di Notte Nera. La storia è quella di un amore proibito e clandestino e il messaggio del brano si amplia nel video diretto da Annamaria Liguori. Ne abbiamo parlato con Virginio.
Virginio racconta Amarene
Amarene sembra seguire il percorso sonoro già tipico di Notte Nera. Le atmosfere sono molto upbeat, quasi anni ’80.
«Anche il racconto stesso è una continuazione, non solo i suoni. Dopo quella Notte Nera, a un certo punto la storia si evolve. La relazione continua e, per varie ragioni, viene vissuta in maniera clandestina. A livello sonoro riprende questi suoni anni ’80 anche se, in questo caso, mi è piaciuto molto divertirmi con una melodia che avesse un sapore un po’ retro. Se vuoi, anche ispirandomi al cantautorato pop della cultura italiana».
È la fotografia, immagino, di Virginio oggi come artista oltre che come essere umano?
«Indubbiamente mi piace evolvere e sperimentare. Sono un Acquario, quindi il cambiamento per me è fondamentale e vitale. Penso che sia anche più veritiero rispetto a quello che sono. La verità è una cifra su cui io mi confronto sempre anche con chi mi segue. Per me è fondamentale fare musica che rispecchi chi sono oggi. Non significa che il Virginio del passato non faccia parte di me. Anzi, arriveranno anche delle sorprese a questo proposito, ma mi piace fondere quello che mi contamina e quello che sento con ciò che sono adesso. E con ciò che sono stato, soprattutto».
Va detto che – se mai esistesse una comfort zone – non hai paura di uscirne.
«L’obiettivo è proprio questo: evolvere rimanendo se stessi. A me in primis capita di ascoltare degli album che trovo tremendamente ripetitivi. Ognuno fa la musica che gli pare, ma se devo rapportarla a ciò che piace a me, preferisco un album, un progetto, un artista che evolve e cambia. Pur riuscendo sempre a mantenere la sua cifra. Però mi sorprende, no? La comfort zone tendenzialmente al mercato piace, ma rischia anche di indirizzarti verso qualcosa che muore. Proprio perché non evolve. Rischi che le stesse persone che ti seguono, dicano ‘Sta cosa l’ho già sentita. A me per primo darebbe fastidio. Voglio poter essere sorpreso e sperimentare, muovermi».
Si rischia, ma c’è sempre verità artistica. La musica è così uno specchio che riflette sempre chi sei come artista in un determinato momento. È importante oggi trasmettere questa trasparenza?
«Alla fine oggi, tra social media e tutta una serie di sovrastrutture che abbiamo intorno, l’unica cosa che ci rimane è la verità. È l’unica cosa veramente autentica che abbiamo, no? Con tutti i suoi difetti. A me piace anche l’idea di esplorare qualcosa di scomodo. In queste canzoni, Notte Nera e Amarene, racconto un amore proibito e clandestino. Può essere anche scomodo. Il mio obiettivo finale però è arrivare al concetto di inclusione. Un testo come Amarene può apparentemente sembrare, a un primo ascolto, leggero. In realtà non lo è. Ti trasmette subito una sensazione di leggerezza, perché la musica è la prima cosa che ti arriva. È la parte irrazionale, ma in realtà il sottotesto è molto più profondo e molto più importante».
Ecco, a proposito di testo, ci sono tantissime metafore.
«Lo stesso Bang Bang ha un significato molto specifico. Quando dico Cupido alla tempia è abbastanza chiaro, mentre il Bang Bang è più estremo. Comunque in tutto il testo, se volessimo analizzarlo, ci sono sfaccettature e sfumature: mi piace veicolare qualcosa, sempre per arrivare all’inclusione che mi sta a cuore perché credo che sia, oggi più che mai, importante. In un momento di globalizzazione in cui si ascolta di tutto, le differenze sono in evidenza. E va sottolineato che sono un plus e non un minus».
Già Amarene, il titolo, è una metafora in fondo.
«La canzone inizia dicendo La noia è veleno. Quella che noi chiamiamo noia, è in realtà un atteggiamento di inquietudine che poi ti porta a uscire dalla tua comfort zone. È veleno anche in senso ironico, perché crea una problematica da gestire: la clandestinità. Su Amarene mi piaceva intanto la parola, che nasconde vari livelli di significato. Dal verbo Amare che si cela all’interno della parola al fatto che queste ciliegie siano in realtà aspre. Mi sembrava una metafora perfetta per rappresentate qualcosa di agrodolce. Sai che solo in Italia esiste questa parola per questa variante di ciliegie? In realtà, in spagnolo, si chiamano cerezas negras, ciliegie nere. La versione in spagnolo, proprio per questo, sarà un adattamento».
La versione spagnola di Amarene e il video
Che titolo hai scelto quindi per la versione spagnola?
«Si chiamerà Amarenas perché è come se fosse un nome proprio. E, di fatto, è così. È stato divertente e mi piaceva l’idea di portare questo neologismo che viene dall’italiano. La nostra lingua all’estero è sempre apprezzata».
A proposito di inclusione, il video allarga – potremmo dire – il messaggio del brano.
«Sì perché in realtà è così. Quando ho scritto Amarene con Daniele Coro e Andrew, non ho pensato soltanto alla mia storia. Ovviamente la canzone dura 3 minuti, quindi l’aspetto bello del video – e il motivo per cui a me piace tantissimo trasporre in immagini una canzone – è che puoi aggiungere altri e nuovi livelli di significato. Abbiamo esplorato il modo in cui Amarene si adattasse anche alla storia tra due persone di etnie diverse. In alcuni contesti emancipati può sembrare scontato, ma non lo è ancora. Purtroppo. Nel video c’è poi una coppia di due ragazze, la rappresentanza queer. Ho voluto che fossero due ragazze, perché spesso sono coppie che non vengono rappresentate tanto quanto quelle formate da due uomini. Secondo me è una mancanza a volte della comunità LGBTQA+».
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In una delle coppie rappresentate c’è invece una grande differenza di età: anche qui c’è ancora un fortissimo pregiudizio.
«Soprattutto se la donna è più grande. E a me girano le scatole: dove sta scritto che una donna non possa stare con un ragazzo più giovane? Saremmo potuti andare avanti, credo, con un’infinità di coppie che rappresentano comunque una diversità rispetto a ciò che viene considerato regolare».
Sono coppie molto vere, ma – come dici in Amarene – non pesa anche un senso di colpa auto-imposto in queste situazioni?
«Sì, è vero. Ci si sente giudicati. C’è spesso un po’ di autocensura».
Tu parli proprio di questo: del malessere.
«Siamo i primi censori di noi stessi. E in fondo l’autocensura non fa neanche bene. A volte scopri che parenti e amici non hanno alcun pregiudizio. Io stesso ho vissuto una frustrazione auto-provocata e in parte frutto del contesto sociale. In famiglia non avrei avuto problemi, ma l’ho scoperto dopo. A volte dobbiamo fare un po’ di autoanalisi ed essere un pochino più morbidi con noi stessi».
Piano piano impareremo a vivere la vita come vogliamo e a fregarcene un po’?
«Già stanno cambiando molte cose, perché ovviamente le generazioni si rinnovano. Ed è normale che sia così, per quanto ci si voglia opporre. La vita prende sempre il suo corso, a prescindere».
Non puoi fermare il progresso né la libertà individuale?
«Non puoi fermare l’emancipazione. Nello stesso modo in cui non si è fermata l’alfabetizzazione. A dispetto dei governi, la società va avanti a prescindere da quello che pensa la società stessa».
E dopo Amarene cosa ascolteremo da Virginio?
«Sicuramente queste sonorità le sento vicine a me. In questo momento mi rappresentano. Sono tuttavia sonorità che si uniscono benissimo anche al mio solito pianoforte e alle ballad, che sono sempre con me. È giusto anche però che si vestano dei suoni giusti o magari di niente. Perché a volte basta anche un pianoforte e poco altro».
Foto di Marco Melfi