Anni fa, quando la radio era il canale principale per rendere un successo i brani musicali, le etichette discografiche corrompevano i direttori dei programmi delle stazioni radio con denaro e regali per far entrare alcuni brani nelle playlist della loro radio, un’abitudine che generò uno scandalo che divenne noto col nome di Payola. Dopo l’emersione di diversi scandali la pratica è diventata illegale, ma etichette e manager hanno continuato a cercare modi per inserire la propria musica nelle trasmissioni dei programmi radio. Lo stesso fenomeno esiste ancora, con le playlist di Spotify, che ora sono il modo più influente nel determinare un successo. C’è anche un nome per questo nuovo fenomeno mutuato dallo scandalo di anni fa: il pagamento per aggiungere la propria canzone a una playlist è chiamato Playola. Il Playola potrebbe non essere illegale (almeno non ancora),
SpotLister sembra essere un venditore particolarmente aggressivo e di successo nel mercato nero delle playlist. SpotLister ha affermato di avere accesso a più di 1.500 curatori di Playlist con una copertura cumulativa di 11,7 milioni di follower. Spotify ha tuttavia negato qualsiasi influenza esterna sulla caratatela delle Playlist e ha chiuso Spotlister anche se il sito è poi stato rilanciato dopo poco con il nuovo nome di Jamlister. Siti Web di terze parti simili come SubmitHub e Playlist Push sono ancora attivi e funzionanti.
Ecco come funziona: quando carichi una traccia su Spotify, viene analizzata da quello dall’algoritmo di indicizzazione della playlist e usa i metadati per identificare le playlist più appropriate a cui inviare la traccia. In questo modo una band indie rock non rischia di finire nelle playlist EDM, ad esempio.
Sembra che Spotify stia iniziando a prendere di petto il fenomeno Playola, anche se ancora non è illegale, ma rischia di gettare discredito sulla piattaforma. Il colosso dello streaming musicale sta iniziando a rendere la vita complicata a chi offre scorciatoie per entrate nelle playlist.