Spesso parliamo dei gruppi italiani nominando il loro cantante, il leader. Una sineddoche che vale per Tommaso Paradiso, Lodo Guenzi, per Manuel Agnelli e per tanti altri. Imperatori dei social, capitani a cui la band affida la somma degli ego che la compongono. Quasi dei ministri votati al selfie il cui nome fa ombra a quelli della compagine. Durante i concerti stanno al centro del palco, dell’attenzione e dello spettacolo. Concerti la cui energia, inevitabilmente, fluisce da uno verso molti, si irradia dal Re Sole del palco verso il pubblico, in una sorta di apparizione del divino, il cui rito viene officiato dalla chiesa di internet.
Un concerto invece è un accordo, un’intesa riguardo alla pratica attuazione di un progetto comune. Non l’assolo di uno, quindi, ma l’assonanza di una collettività. Proprio di collettività Max Casacci ha scritto su Wired di recente, interrogato sulle parole del 2019. “La sconfitta del gruppo è la sconfitta di tutti”. Forse parlava un po’ anche del suo di gruppo, i Subsonica, imbattuto dalla somma dei progetti solisti dei sui componenti. Progetti solisti che hanno srotolato tutto il patrimonio sonoro della band, amplificandolo prima di riarrotolarlo per farne benzina subsonica.
Ieri i Subsonica in concerto a Roma, hanno abbracciato le migliaia intorno al palco che hanno ricambiato l’abbraccio. Eravamo tutti li per un motivo: fare festa, tutti insieme. Una collettività che ha celebrato la carriera di una band, ma anche la carriera dei fan di quella band: Fatevi un applauso alla carriera hanno detto i Subsonica dal palco. Parlavano di noi, che per due ore abbiamo ballato.
Un Noi diffuso nel quale chi suona e chi balla dà e prende, trasmette e riceve. Un transmit & receive che ha il sapore della cultura dei Sound System jamaicani e della DJ culture dei primi anni 2000, elementi forti nel mondo dei Subsonica. Ieri abbiamo celebrato una collettività scomparsa dai radar della musica, ridotta ormai a cane a cuccia che aspetta l’approvazione del padrone, sia esso Instagram o il televoto. Collettività in cui tutti valgono tutti; un selfie con migliaia di persone senza nessuno in primo piano. L’alternativa a quei gruppi che si essiccano per irrorare l’ego del frontman, a quei concerti in cui la celebrazione del Re Sole prende il posto della celebrazione del Noi.
I Subsonica hanno suonato venti anni di dischi in un flusso indistinto di classico e nuovo, quasi come se anche il valore dei singoli pezzi fosse inferiore al valore della loro somma. Ormai bisogna farci i conti con l’Uno e i Tutti, con la scomparsa del Noi, che è invece la base per ogni festa, per ogni get together.
Esiste un modo per parlare senza usare parole. Per spiegarsi senza affermazioni. Per amarsi senza toccarsi. L’hanno detto i Subsonica ieri in concerto a Roma.