Kagoshima, nell’Anno del Signore 2019
Nella mia quarta volta nella terra del Sol Levante, finito l’entusiasmo per il colorato gap culturale con l’Occidente che mi faceva esaltare le tre precedenti volte, inizio a trovarmi faccia a faccia con una realtà parecchio distante dalle mie Italiche radici.
Siamo tutti umani, e tutti abitanti dello stesso pianeta, ma che varietà!
Partendo con la buona abitudine di premunirmi di Gaviscon per contrastare l’ormai conclamata acidità di stomaco che puntualmente inizia a farsi presente al giorno 6 di cibi dolciastri, insalsinati e della davvero ottima, ma solita carne del barbecue coreano, ho deciso di rendere proficua la mia permanenza, abbandonando le vesti della turista e molestando tutti coloro che mi stavano accanto con domande piuttosto intime per un Giapponese, ma necessarie per finalmente catapultarmi all’interno del lato più inaccessibile per un “western”, ovvero il modo in cui vivono i rapporti interpersonali qui in Asia.
La loro proverbiale gentilezza è nota a tutti, così come l’ospitalità, ma anche il loro borghese distacco (sempre che non abbiano bevuto qualche bicchiere di troppo, perché allora in quel caso, sono capaci di farvi rimpiangere il tacchinaggio più serrato del tipico tamarro del sud Italia in tentativo d’approccio) ma come si comportano davvero qui nel paese della rivoluzione tecnologica, del karōshi, (la morte per eccesso di lavoro), del mondo dei Manga trasportato nel reale, nei confronti del sesso?
In Giappone l’epoca dell’arte dell’amore sublime, è raccontata nella storia di Genji, il “Genji monogatari”, un romanzo dell’XI secolo scritto dalla dama Murasaki Shikibu al servizio dell’imperatrice Shoshi durante il periodo Heian. Genji è il principe senza macchia, che non abbandona mai le sue mogli e le sue concubine, e che le ama tutte, rendendole degne di prendersene cura con responsabilità e poesia.
Genji resta ancora l’ideale di uomo giapponese, anche oggi che non esiste più la poligamia e che i “valori matrimoniali” si suppone siano alla base della cultura nazionale.
Trovandomi ad un’importante Festival della Musica, il tasso di giapponesi in un’età compresa tra i 25 ed i 70 anni a cui ho potuto fare delle domande è particolarmente alto ed inventandomi una sorta di studio sociale, ho tentato di essere diretta senza sentirmi di violare la loro privacy, tra un inchino e l’altro con buona pace della mia sciatica.
Quello che balza subito all’occhio, è l’estremo divario tra le due risposte. Infatti c’è chi ritiene che il tradimento sia un valore aggiunto per il matrimonio, mentre il restante non lo tollera ma giustifica la condotta dei loro compaesani con un “ma in Occidente è pure peggio”.
Il controverso rapporto con il sesso, è forse l’apice delle incoerenze nipponiche, dove da una parte troviamo una progressiva “perdita di desiderio” che ha investito gli ultimi decenni – tanto che, secondo un’indagine del ministero della Salute, circa il 34,6 per cento delle coppie sposate non hanno rapporti sessuali, e all’opposto abbiamo gli addicted all’hentai (manga pornografici), ai soapland (locali d’incontro con le prostitute), ed ai Love hotel.
Una delle cose che balza subito allo sguardo e la possibilità di incrociare uomini che ti guardino con insistenza: nei locali, al ristorante, per strada. Se in compagnia di un uomo, il loro osservare diventa meno marcato, ma se da sola, non è difficile un simpatico quanto diretto tentativo di abbordaggio.
Ed io che facevo i Giapponesi timidi e delicati!
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