Al via il progetto di Unetchac con il patrocinio del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale (Maeci)
Si chiamano: ‘Piani di azione nazionali sulla Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu n. 1325 e l’impatto dei conflitti armati sui bambini e le bambine’. Un progetto della Universities Network for Children in Armed Conflict (Unetchac), realizzato in collaborazione con l’Istituto di studi politici ‘San Pio V’ e con il supporto del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale Italiana (Maeci, ndr). Si tratta del primo lavoro di ricerca su scala globale svolto da un network universitario specializzatosi sui bambini nei conflitti armati. In pratica, ricercatori e accademici provenienti da Africa, Asia, Sud America ed Europa dell’est saranno i motori di un’analisi ‘quali-quantitativa’, in cui lo studio diventa l’arma per rendere visibili le guerre invisibili, per analizzare le condizioni legali e sociali che contribuiscono alla perpetrazione della violenza sui bambini, anche considerando gli obiettivi del IV Piano di azione italiano per l’attuazione della Risoluzione n. 1325 su ‘Donne, pace e sicurezza’. Dati di studio saranno raccolti fino a novembre 2023, per analizzare abusi e violenze contro i minori. Oggetto di analisi saranno anche i processi di reintegrazione sociale a favore di questi bambini. Tra le numerose attività condotte da Unetchac – un consorzio di oltre 50 università e istituti di ricerca internazionali – e in continua espansione: formazione continua attraverso ‘settimane accademiche’ con professori e studenti da war zones; una ‘Autumn School’ su ‘Aspetti giuridici e sociali di violenza su bambini e bambine’; seminari e conferenze. In particolare, il 24 luglio 2023, il network ha organizzato la prima Conferenza internazionale in Sri Lanka nell’ambito di questo progetto. A partecipare all’iniziativa numerose autorità e rappresentanti istituzionali, tra i quali: Nicolò Tassoni Estense di Castelvecchio, ambasciatore italiano in Myanmar; Francesco Perale, vicecapo missione presso l’Ambasciata italiana in Sri Lanka; Mattia Ventura, vicecapo missione presso l’Ambasciata italiana in Bangladesh. Ne abbiamo parlato con il segretario generale Unetchac, Laura Guercio.
Laura Guercio, ma quale è l’aspetto di maggior innovazione del vostro progetto?
“Due sono gli aspetti innovativi che ho il piacere di evidenziare: il progetto su cui il network sta lavorando, intende innanzitutto realizzare una ricerca accademica, qualitativa e quantitativa, sulle condizioni dei bambini in situazione di conflitto e post–conflitto che è condotta contemporaneamente da più università e in più Paesi. Trattasi, dunque, di una ricerca che, sviluppandosi in Africa, Asia, Sud America e Europa (Kosovo e Ucraina) unisce in un unico grande progetto più realtà accademiche, permettendo così un proficuo incontro e confronto tra approcci scientifici diversi. Questo è certamente un aspetto innovativo, che arricchisce l’analisi e lo studio che vogliamo portare avanti. Peraltro, un rapporto specifico su Medio Oriente (Yemen, Siria e Iraq) è già stato oggetto di un precedente progetto di ricerca, che si sta completando ora. Il secondo aspetto da rilevare è che questa ricerca si svolge all’interno dell’impegno di attuazione del IV PIano d’azione italiano sulla Risoluzione n. 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, denominata: ‘Donne, pace e sicurezza’. Si tratta di un dispositivo giuridico nuovo, che ha segnato un cambiamento fondamentale nell’approccio della comunità internazionale nei confronti della donna che, con tale Risoluzione, viene vista non più come solo persona da proteggere, ma come agente di cambiamento e attrice fondamentale per la costruzione di una pace e sicurezza che siano durature. L’Italia è sempre stata in prima linea per l’attuazione della Risoluzione, come dimostra l’adozione dei quattro Piani d’azione nazionali. Il IV Piano di questi pone, peraltro, una attenzione massima ai bambini e alle bambine. Il nostro progetto, in questo modo, intende contribuire all’azione e all’impegno italiano”.
Con quali strumenti sarà possibile coordinare una ricerca accademico-scientifica su scala globale, ma soprattutto dalle zone di conflitto?
“Attraverso un’analisi qualitativa e quantitativa; attraverso una raccolta dati e comparazione degli stessi; mediante interviste che verranno ovviamente svolte nel rispetto della privacy dei dati dell’intervistato e con le cautele necessarie laddove la situazione sia particolarmente delicata; e soprattutto, con l’analisi della prospettiva accademica. La ricerca non vuole produrre e sviluppare solo dei numeri, sia pure importanti, ma vuole far capire le ragioni sociali, culturali, giuridiche che sottostanno ai numeri: anche questo vuole caratterizzare il nostro lavoro. Infine, ma non ultimo, con un forte coordinamento tra tutti i ricercatori locali: un aspetto, quest’ultimo, fondamentale per un lavoro che, come detto, vede il coinvolgimento di realtà accademiche e scientifiche di diverse aree geografiche”.
Che peso ha l’interazione con gli studenti?
“Il network è per i giovani e con i giovani. L’attività che svolgiamo è destinata a sviluppare la consapevolezza dell’importanza del rispetto di coloro che, bambini e giovani, porteranno avanti il mondo, magari anche meglio di come è stato loro lasciato. Per questo motivo, è per noi importante coinvolgere sempre i giovani. Abbiamo già diversi ‘like minded groups’ di studenti, che portano avanti ricerche e analisi con il supporto e coordinamento di professori; organizziamo continuamente corsi di formazioni per i quali prevediamo, a conclusione, borse di studio per i piu meritevoli; abbiamo programmi di internships per coinvolgere giovani studenti nelle attività progettuali. Per esempio, in questo progetto, i nostri ‘interns’ vengono coinvolti nella organizzazione di una ‘Autumn School’ che partirà a ottobre. E ha lo scopo di parlare ai giovani delle risultanze del progetto. È necessario investire nei giovani, coinvolgendoli nelle analisi e nei dibattiti che li riguardano, dando loro credito e responsabilità, considerandoli protagonisti e attori di cambiamento. Il mondo accademico dovrebbe sempre aiutare i giovani, in tal senso: dovrebbe supportarli nello sviluppare quelle categorie mentali attraverso le quali trasformare le nozioni che apprendono in strumenti su cui costruire le loro idee”.
Com’è possibile – a suo avviso – attribuire ai conflitti armati delle diverse aree del mondo la stessa importanza che, a volte, non coincide con quella dettata dai media?
“Le violazioni sono ugualmente gravi, sia che accadano in Europa, sia in Asia, Africa, Medio Oriente e Sud America. Ma, detto senza ipocrisia, l’attenzione politica è diversa. Le ragioni possono essere molteplici: dagli equilibri della geopolitica, alle motivazioni economiche. E questo non è solo perché l’attenzione, in un senso o nell’altro, viene dettata dai media, che altro non sono, essi stessi, espressione del sistema. Due aspetti vorrei evidenziare: forse, dovremmo renderci conto che dovremmo rivedere quel ‘multilateralismo’ nato all’indomani della seconda guerra mondiale e dirci, onestamente, che non abbiamo saputo attuare appieno le basi e principi dichiarati dalla Carta delle Nazioni Unite. Se non vi è la volontà politica degli Stati all’interno di quel modello, avremo sempre più un sistema multipolare di Stati e soggetti privati, in cui certe volte quest’ultimi sono piu potenti degli Stati stessi e in cui è difficile realizzare una vera ‘governance’ nell’interesse equo, di tutti. Secondo aspetto: noi ancora ci portiamo addosso, molto spesso, un approccio ‘eurocentrista’ del mondo e pensiamo ancora che tutto si esaurisca all’interno dell’Europa. Dimentichiamo, così, che nel sistema globale in cui viviamo oggi, ciò che succede in Asia, in Africa o Medio Oriente è anche un affare europeo. La guerra nella Repubblica democratica del Congo, nello Yemen o in Siria ci dovrebbe interessare almeno quanto quella in Ucraina”.
Ci parla della Conferenza del 24 luglio?
“Si sta svolgendo proprio in questi giorni in Sri Lanka, a Colombo. Ed è la prima conferenza internazionale che, parallelamente alla ricerca, è stata organizzate nell’ambito di questo specifico progetto. Le prossime si svolgeranno in Kosovo, Kenya e Colombia. La conferenza finale si svolgerà a Roma, a novembre di quest’anno. La Conferenza del 24 luglio, come le altre, ha permesso un momento di studio e confronto sulla protezione dei bambini e delle bambine nei conflitti armati, anche alla luce degli obiettivi dei Piani d’azione nazionali sulla Risoluzione n. 1325 adottati dai vari Paesi o dei teatri di crisi oggetto della analisi e ricerca del network. Al termine del progetto, oltre a un rapporto finale sulla condizione dei bambini in conflitto armato, verrà pubblicato anche un rapporto di analisi comparativa dei vari Piani di azione penale: questo è un lavoro che può diventare la principale ricerca sui bambini nei conflitti armati. Uno strumento importante per l’Agenda 1325”.
Quali sono gli obiettivi che, supportati dal ministero degli Affari Esteri, auspicate di raggiungere, a fine attività?
“Molte sono le attività che svolgiamo continuamente, in modo autonomo o in cooperazione con il Maeci. Ovviamente, riteniamo che, laddove le istituzioni e il mondo della società civile e accademica trovino gli strumenti e gli interessi comuni per cooperare, sia più facile fare sistema. Alle volte, mi permetto di dire che è proprio questo che manca: il ‘fare sistema’. Per cui, saremmo molto lieti di poter continuare, in futuro, a svolgere i nostri progetti anche con il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, dato che sul tema dei bambini e bambine in conflitto armato – come anche su altri temi – ha sempre avuto grande attenzione e sensibilità”.
di Vittorio Lussana