Il dialetto romano è ricco di modi di dire ed espressioni che non solo solo conosciute a Roma ma anche in altre parti d’Italia. La frase A chi tocca nun se “ngrugna” ne è un esempio e in pochi sanno la sua origine nonostante venga continuamente usata da grandi e piccoli in contesti diversi.
A chi tocca nun se “ngrugna”, significato dell’espressione del dialetto romano
A chi tocca nun se “ngrugna” è un’espressione molto utilizzata da tante persone e in particolare i romani quando si trovano in situazioni che non si possono cambiare. Infatti, letteralmente la frase significa “a chi capita, non se la prenda, non reagisca”.
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Le parole che compongono l’espressione sono grugno che indica il muso dell’animale da cui deriva il verbo ingrugnarsi vale a dire tenere il muso cioè avere un’espressione corrucciata.
Quindi, l’espressione “A chi tocca nun se ‘ngrugna” si usa quando capita una cosa ma non è il caso di prendersela anzi è meglio andare avanti, senza ripensarci.
Si tratta di un modo di dire molto attuale anche se la sua origine risale a epoche passate.
A chi tocca nun se ngrugna, l’origine dell’espressione
Non ci sono notizie certe sull’origine dell’espressione ma il modo di dire potrebbe derivare da un antico gioco romano di carte: la “Passatella”. Quando si giocava e c’era chi perdeva, questo non poteva bere per un giro e proprio alla “vittima” si diceva: “A chi tocca non se ‘ngrugna”.
Altri modi di dire del dialetto romano
Il dialetto romano è ricco di modi di dire e alcune frasi vengono usate anche in altre parti d’Italia. “Sei figlio dell’oca bianca”, “Non farti infinocchiare”, “Fare il giro delle sette chiese”.
“Fare il giro delle sette chiese”, è un modo di dire conosciuto in tutta Italia, oggi, con questa espressione si indica il tempe che si perde a girare a vuoto o il tentativo di avere organizzato un incontro con qualcuno per parlargli, ma senza aver riscontrato successo.
Poi ancora il “figlio della gallina bianca”, in latino “gallinae filius albae”. Tale espressione si trova anche nella XIII satira di Giovenale, nell’Istitutio oratoria di Quintiliano e negli Adagia di Erasmo. La frase è diventata comune ed è usata in ogni circostanza: tra i banchi di scuola, negli ambienti di lavoro, in famiglia. Insomma, è diventata un modo dire del linguaggio quotidiano.
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