Per anni le giornaliste sono state definite figure ciniche, capaci solo di fare giornalismo di moda, gusto e costume, lontane da argomenti politici e sociali. È questo il pregiudizio con il quale il mondo femminile ha dovuto fare i conti per tanto tempo e ancora oggi ne risente, in quanto la possibilità di avanzamento nella carriera sono ancora poche. Milly Buonanno lo conferma nel suo libro Visibilità senza potere. Le sorti progressiste ma non magnifiche delle donne giornaliste in Italia, in cui riporta che le donne sono presenti in ogni ambito giornalistico ma le percentuali che le mostrano nel ruolo di direttore e vicedirettore sono ancora molto basse. Dunque, quali sono le cause di questo fenomeno così attuale ed è vero che il genere fa la differenza?

Giornaliste in Italia: com’è cambiato il loro ruolo nel corso dei secoli

Se prima del diciottesimo secolo soltanto gli uomini avevano la possibilità di accedere al mondo giornalistico, dalla metà del Settecento anche le donne iniziarono ad affacciarsi a tale realtà, nuova per loro sotto ogni punto di vista. Inghilterra e Francia furono gli stati pionieri del giornalismo femminile, in Italia, invece, bisognerà attendere la fine del Settecento.

L’Ottocento fu un secolo molto importante in cui le donne riuscirono a lasciare il segno soprattutto negli anni Ottanta quando si sviluppò una stampa dedicata interamente alle rivendicazioni femminili. Tuttavia, dopo anni di emancipazione, il fascismo trasformò tutto ciò che la donna era riuscita a costruire.

Infatti, nel corso del regime di Mussolini, la maggior parte delle giornaliste prese le sembianze della donna fascista ma allo stesso tempo ebbe la possibilità di accumulare esperienze nel campo politico così da conquistare importanti ruoli nella stampa. Basti pensare a Natalia Aspesi, che all’età di novantacinque anni è ancora una delle firme più affermate in Italia. Senza alcuna formazione culturale e politica, la giornalista è riuscita ad affermarsi nel giornalismo grazie al suo occhio critico, capacità di osservazione della realtà e instaurando un rapporto di fiducia con i lettori. Non è un caso che per molti anni fu l’unica donna nella redazione di “Il Giorno”.  Poi ancora Carla Ravaioli ha parlato di “lavoro nero” a causa di collaborazioni pagate poco o senza contratto; Anna Maria Mori ha paragonato i settimanali femminili a un ghetto. Lietta Tornabuoni nel saggio La giornalista: “una donna serpente” ha testimoniato di essere stata considerata per anni come una razza a parte, ritenuta inadatta alle responsabilità e ai compiti direttivi perché troppo emotiva e irrazionale.

Dal 1978 agli anni 2000 la percentuale di giornaliste è passata dal 10% al 28%. Tale miglioramento è avvenuto sia per la presenza numerica nelle redazioni che per le condizioni e le modalità di accesso alla professione. Infatti, attualmente le donne sono presenti anche in quei settori editoriali storicamente attribuiti al genere maschile. Tuttavia, vi sono ancora tante difficoltà ad affermarsi, poche riescono a raggiungere ruoli decisionali.

Perché ancora oggi il genere fa la differenza

Il ruolo delle donne nel giornalismo italiano è ancora molto incerto e sono tanti ad interrogarsi su quale sia lo spazio riservato loro. Socialcom ha fatto un’analisi, affermando che il divario di genere esiste nei ruoli di leadership, riconoscimenti economici e appeal con il pubblico. I dati sono sconcertanti: su 38 testate solo 6 sono affidate a direttori donne. Nessun Tg ha una direttrice e sul web i siti con un direttivo maschile hanno più seguito di quelli con professioniste.

Ci si chiede, dunque, quali siano i motivi di una tale disparità.  Per alcuni vanno cercati nel sessismo, per altri nel conservatorismo che ancora oggi caratterizza l’Italia. A tal proposito non ci resta che citare le parole della giornalista Flavia Perina, direttrice del “Secolo d’Italia” (2000-2011) che in un’intervista ha affermato che c’è la tendenza a non andare mai fuori da uno schema consolidato che prevede gli uomini al potere: “Si resta in quell’algoritmo senza esplorare possibilità differenti, si tratta di scarsa fantasia e considerazione del valore aggiunto che potrebbe dare uno sguardo diverso”. Ha riferito.

Eppure, sono tante le firme femminili che hanno lasciato il segno nella stampa italiana: in passato Camilla Cederna, Oriana Fallaci, Miriam Mafai, Gabriella Poli hanno creato il loro spazio senza schiacciarsi sugli stereotipi della scrittura maschile; oggi Lucia Annunziata, Francesca Borri, Daniela Brancati e Barbara Schiavulli sono professioniste e loro ereditiere.

L’impegno, la passione e il coraggio hanno contribuito a realizzare aree, stili e linguaggi inediti della tradizione giornalistica italiana e chi si appresta a tale lavoro deve tenere conto delle conquiste passate per migliorare il presente e il futuro, continuando a contrastare le distorsioni di una malintesa differenza di genere nel giornalismo.

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