Sono passati, proprio in questi giorni, cinquant’anni dallo sbarco del primo uomo sulla Luna e, quasi in contemporanea, a Villa Ada si celebra il trionfo del sound più immaginifico ed evocativo che l’attuale scena indie è in grado di proporre.
Una serata, premiata da un’ottima affluenza di pubblico, che vede in scena tre importanti gruppi del sound post rock internazionale. Formazioni principalmente strumentali (come altri esponenti di questo particolare panorama musicale, fra i quali Mogwai ed Explosions in the Sky) ed in grado di creare atmosfere musicali sognanti, intervallate da maestosi ed imperiosi crescendo elettrici.
Ad aprire la riuscitissima esibizione i romani Klimt 1918, sulla scena dal 1999 ed ormai maturi per essere apprezzati anche a livello internazionale. Prima degli attesissimi irlandesi God Is An Astronaut ampio spazio ai giapponesi Mono, conosciuti per essere già passati (in precedenti occasioni) nella capitale. Il loro è un set che spazia fra minimali elaborazioni sonore dove si avvertono echi della tipica cultura musicale e teatrale del loro Paese insieme ad un’anima noise che sfocia in irruenti impasti strumentali.
Naturalmente la parte del leone è affidata a lunghe elaborazioni elettriche dove emerge un’anima romantica e visionaria, come nella migliore tradizione del Paese del Sol Levante. Insomma, una band con tutte le carte in regola e davvero convincente. Perfettamente in sintonia ed ideale per esibirsi prima dei compagni d’avventura God Is An Astronaut, venuti a presentare a Roma il loro nuovo e bellissimo album “Epitaph”.
E, come recita il titolo, si tratta di un lavoro che esalta l’aspetto più significativo del loro sound, fatto di assoluta ricercatezza nelle trame strumentali e che, nell’esibizione live, si esalta per qualità e varietà delle soluzioni musicali. Post e space rock si fondono con ambient music mai statica ed in grado, con crescendo e ritmi serrati, di scatenare uno stato d’animo liberatorio e propedeutico alla danza meno stereotipata.
Il leader, chitarrista e cantante, Torsten Kinsella è, poi, una presenza scenica costante che, con le sue preziose elaborazioni vocali, sembra quasi voler trasportare il gruppo attraverso scenari lunari come quelli spesso splendidamente evocati da un altro grande progetto musicale (proveniente dalle fredde terre nordiche) che risponde al nome dei Sigur Ros. Naturalmente, insieme a brani attuali, come “Epitaph” e “Mortal Coil” scorrono immagini di un glorioso e sempre vivido passato (“The End Of The Beginnin) o, addirittura, brani inediti come “Lost Cosmonauts” eseguito live, per la prima volta, proprio a Roma.
Un ulteriore regalo fatto ad una città che li ha sempre amati e che i God Is An Astronaut ricambiano, ogni volta, con esibizioni di grande intensità, come in questa fantastica occasione.