Intervista alla presidente della Ong ‘Casa Africa Onlus’: un luogo aperto a tutti per sfamare i bisognosi, offrire formazione e sviluppare abilità
Una Onlus e una ‘casa’, le cui porte restano sempre aperte e lo sono per tutti. Tanto più in questo periodo di emergenza. ‘Casa Africa Onlus’ lavora in Italia dal 1978 come associazione di solidarietà e promozione sociale senza fini di lucro, per accogliere; per sfamare; per fare apprendere l’italiano a chi non ha potuto frequentare una scuola; per sostenere chi non ha un lavoro con lo sviluppo di abilità necessarie per costruirsi un futuro. Questa Ong sita a Roma, con sede in via degli Artisti n. 32, ha fatto del “dare al prossimo come a te stesso” un principio su cui si fonda una missione concretizzata, anche durante il lockdown. Da marzo 2020 a oggi, oltre 200 famiglie di italiani e stranieri che cercando di sopravvivere nella capitale d’Italia ricevono dai volontari di ‘Casa Africa’ aiuti in prodotti alimentari (700 chili tra pasta e riso; pelati; tonno; piselli; fagioli; olio; sale; zucchero; caffè; biscotti; omogenizzati) e con tremila bibite distribuite (acqua, bevande succhi di frutta, caffè e tè). I ‘containers’ vengono disinfettati quotidianamente con la kloralina; gli alimenti con l’amuchina. Una raccolta fondi ha già permesso di distribuire guanti e mascherine ai ‘senza tetto’ della stazione Termini la scorsa primavera mediante una ‘Maratona della solidarietà’. E in questi giorni la Onlus sta attivando una Rete solidale per raccogliere degli smarthphone, che consentiranno ai migranti, agli stranieri e a tutti gli interessati, di continuare i corsi di italiano gratuiti a distanza. Ogni giorno, i volontari di ‘Casa Africa’ lavorano per disinfettare e ristrutturare il nuovo locale a Roma, in via dei Navigatori 1, vinto grazie a un bando del Comune, che ospiterà diversi corsi di formazione per giovani immigrati e italiani. In particolare, corsi di arte culinaria, pizzeria, pasticceria, panificazione, gelato, Haccp.
Gemma Vecchio, come è nata l’idea di fondare ‘Casa Africa Onlus’ e perchè?
“La nascita di ‘Casa Africa’ è dovuta alla necessità di aiutare gli africani che scappavano dalle guerre, specialmente gli etiopici e gli eritrei in fuga dal Governo tirannico di Mènghistu Hailé Mariàm. Allora, i giovani venivano in Italia in aereo con un visto turistico che raramente veniva rinnovato e, una volta scaduto, erano automaticamente considerati clandestini. La prima conseguenza era l’espulsione e il ritorno al proprio Paese d’origine. Il che voleva dire: all’inferno dal quale credevano essere scampati. Notai che c’era una profonda ingiustizia nel trattamento di quelle persone, alle quali non veniva riconosciuto lo ‘status’ di rifugiato politico scappando dall’Africa. Tutto questo mi fece scattare il bisogno di aiutare gli immigrati africani, consapevole che rischiavano la loro vita se avessero fatto ritorno in patria. E questo è stato solo l’inizio. L’ho fatto per istinto. L’istinto di aiutare chiunque ne avesse avuto e ne abbia tutt’oggi bisogno”.
Quanto sono cresciute le richieste di aiuto, di cibo e pasti durante questa fase di emergenza sanitaria e come avete fatto a rispondere a queste richieste?
“Da decenni, ormai, c’è una ‘escalation’ delle richieste di aiuto da parte dei migranti che attraversano il Mediterraneo e approdano in Italia, ma anche da cittadini italiani e immigrati residenti nel nostro Paese. Prima della pandemia raccoglievamo fondi con cene, mercatini di beneficenza in cui vendevamo oggetti o piccole opere d’arte realizzate dai nostri studenti, o per mezzo delle spese che preparavano gli amici, da indirizzare ai bisognosi. Durante il ‘lockdown’ abbiamo dato fondo ai nostri risparmi e abbiamo scatenato una vera e propria ‘Maratona della solidarietà’, con i volontari che hanno coinvolto amici e parenti nella raccolta alimentare, nel cucinare per i nostri amici senza fissa dimora, nel portare le spese alle famiglie. Sono molti, devo dire, gli amici che ci hanno sostenuto incondizionatamente: primo tra tutti, Guglielmo Mariotto, stilista della grande Mason Gattinoni, che ha cucinato tre volte alla settimana durante la pandemia in diretta Tv, amplificando il nostro appello per la raccolta fondi. Oltre a lui, anche una ‘Signora della Rai’ che preferisce l’anonimato, ci ha mandato una spesa sostanziosa con cui abbiamo sfamato centinaia di persone. Inoltre, ci sono arrivati dalla Sicilia i contenitori per cibo allora introvabili e la farina per la pizza. Inoltre, ci sono pervenuti aiuti anche dall’azienda ‘Menù srl’ di Modena, dalla trattoria ‘Barberini’ e dal supermercato Pam di Roma di via XX Settembre e da tanti altri ancora”.
É sempre possibile conciliare il rispetto della sicurezza e la solidarietà?
“Abbiamo sempre utilizzato le precauzioni dovute e abbiamo rispettato la distanza di sicurezza; indossiamo le mascherine e i guanti, fornendoli a nostra volta ai bisognosi; utilizziamo disinfettanti per pulire alimenti e container. E soprattutto, abbiamo fatto ricorso a tante preghiere e a una bella dose di fede”.
Cosa potrebbe fare, a suo avviso, il Governo per il sostegno degli ‘homeless’ di Termini?
“Per il sostegno dei nostri amici senza tetto serve una dimora: in molti casi, si tratta di persone che potrebbero essere recuperate e reinserite nella società. A causa del disagio che vivono, della solitudine e del freddo, trovano nell’alcool il solo rifugio e, dopo pochi mesi, li perdi totalmente. Se ci concedessero una caserma, uno stabile dove ospitarli o magari anche un ‘paesino-fantasma’ dove potrebbero risollevarsi dalla sofferenza e imparare un mestiere o coltivare un hobby, si potrebbe seguirli in un percorso di recupero della loro dignità e favorire il loro ingresso nel tessuto sociale. A loro volta, queste persone restituirebbero energia ai cittadini italiani e conquisterebbero la loro indipendenza sociale. Quanto al Governo, non ci sostiene per nulla: dall’esecutivo non abbiamo mai visto nessun tipo di aiuto”.
Dunque, come vi sostenete?
“Con l’amore per il prossimo sosteniamo noi stessi e gli altri, che aiutiamo ogni giorno; ci sosteniamo con raccolte fondi, donazioni e – quando possibile – mediante i bandi che abbiamo vinto, come quello per la formazione e quello della ‘Tavola Valdese’, che ci ha consentito di comprare nove computer per il corso di informatica e altri materiali per insegnare l’italiano ai ragazzi”.
Ci parli del locale dell’Eur: cosa avete in programma per questo spazio e cosa vi augurate per il futuro?
“Il progetto relativo all’apertura di nuovi ambienti in piazza dei Navigatori porterà il nome di ‘Willy’ e sarà dedicato alla memoria di Willy Monteiro Duarte. In questi spazi, formeremo i giovani immigrati in arte culinaria, insegnando loro a preparare il pane, la pizza e il gelato. Insomma, organizzeremo corsi Haccp. Una volta formati con il nostro aiuto, venti giovani africani torneranno ogni anno in Africa per aprire ristoranti e attività. E chi di loro vorrà rimanere in Italia, potrà disporre di una formazione proficua e avrà conseguito un mestiere che gli permetterà di lavorare in Europa e nel resto del mondo. Inoltre, formeremo giovani italiani che lasciano la scuola precocemente: anche loro godranno della stessa opportunità. E se lo vorranno, potranno seguire in Africa i loro coetanei e colleghi. Ci auguriamo che svilupperanno collaborazioni in un clima di fratellanza e di rispetto reciproco”.