A Roma, nella Basilica di San Clemente in Laterano, si trova l’unica testimonianza scritta della lingua parlata dal popolo nel XI secolo, contenente anche la prima parolaccia. Un segreto linguistico e storico di straordinaria rilevanza, usato in un contesto artistico, quasi come un fumetto ante litteram.
Un miracolo insolito: Sissinnio e Papa Clemente
Quest’opera, datata alla fine del XI secolo, rappresenta una scena curiosa e significativa: Sisinnio, un nobile del tempo di Nerva, esclama “Fili de le pute, traite!” durante un tentativo frustrato di catturare San Clemente I, noto per le sue conversioni miracolose di pagani al cristianesimo.
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La parolaccia, scurrile e carica di emozioni, non solo attira l’attenzione per il suo contenuto audace ma rivela anche l’uso quotidiano del linguaggio popolare, arricchito da influenze dialettali chiare, rendendo questo affresco un tesoro linguistico senza pari.
Ma qual era la motivazione della parolaccia?
Sissinnio sospettava che il Papa avesse stregato la moglie, la quale aveva deciso di convertirsi da poco al cristianesimo.
L’affresco non si limita a catturare un momento di tensione religiosa e personale tra il nobile e il santo, ma illustra anche un miracolo. Il dipinto rappresenta, infatti, un frammento della Passio Sancti Clementis (un testo anteriore al VI secolo), in cui il patrizio Sisinnio è nell’atto di ordinare ai suoi servi (Gosmario, Albertello e Carboncello) di legare e trascinare san Clemente. Invece di San Clemente, Sisinnio e i suoi servi finiscono, però, per trascinare una pesantissima colonna di marmo, un dettaglio che aggiunge un tocco umoristico e miracoloso alla narrazione.
Basilica di San Clemente
La Basilica di San Clemente, dedicata a papa Clemente I, è una delle più importanti di Roma, non solo sotto l’aspetto artistico ma anche dal punto di vista storico perché rappresenta bene una città che è stata costruita a strati sovrapposti. É situata a circa trecento metri al di là del Colosseo, sulla strada in lieve salita che porta a San Giovanni in Laterano. L’affresco ispirato all’avventura di un nobile vissuto nel I secolo d.C. e altri elementi della Basilica diventano così un ponte tra passato e presente, mostrando come gli strati della storia romana si sovrappongano e interagiscano.
Oggi, questo affresco non solo è apprezzato per il suo valore artistico e storico, ma è celebrato come la prima attestazione di volgare italiano e, sorprendentemente, come la prima parolaccia documentata nell’arte, situata ironicamente all’interno di una chiesa.