Sala 1 è lieta di presentare la mostra Sym-ballein di Ringo of Dakar.
L’artista, nasce in Senegal a Louga nel 1977, nel 2000 frequenta la Sorbona a Parigi, nel 2003 si trasferisce in Italia dove vive fino al 2023, quando decide di tornare definitivamente in Senegal, dove attualmente vive e lavora.
La ricerca estetica di Ringo è ispirata a diverse matrici culturali, sia africane che europee ed asiatiche. La caratteristica principale della sua arte, raffinata e coltissima, consiste nel tentativo di riconciliare due anime eternamente in conflitto, da un lato la rappresentazione della realtà secondo una vena poetica pittorica narrativa, dall’altro l’attenzione alla materia intesa nel suo assetto non descrittivo, puramente simbolico, legato all’energia del gesto, che diventa ricco di un nonsense quasi primigenio, originario. A questo dualismo corrisponde un’idea dell’arte e del fare arte, assolutamente libera ed anticonvenzionale, che può contenere e combinare immagini e riferimenti spesso distanti tra loro, voci e suoni diversi, ma infine comuni a tutto il genere umano.
L’artista usa con estrema libertà media e tecniche diverse. Cosi la performance ed i video coesistono con le ceramiche, la fotografia reinventa sé stessa con i video-life, objet trouvé, come i crani di animali recuperati nel deserto africano. I teschi, presenti per la prima volta in questa personale, insieme alle barche che a volte ricordano dei sarcofagi, ci parlano di vite esonerate dalla vita e della necessità di restituire la dignità del lutto ai dispersi ai dimenticati. Il quesito che le opere ci sollecitano è una riflessione su quali vite siano importanti e perciò viventi e quali non lo siano o lo siano solo poiché funzionali al sistema geopolitico esistente. La questione sollevata dall’artista è squisitamente butleriana: i relic dei crani di animali morti recuperati nel deserto di Lampoul, resi immortali dal segno dell’artista che sono posti a volte a sigillare delle barche – sarcofago, sembrano una parafrasi visiva dell’affermazione della Butler: “questa vita è mia perché riflette su di me un problema di disuguaglianza e di potere e in maniera più ampia un problema di giustizia e ingiustizia nell’assegnazione del valore”. I crani, i guerrieri multicolor, l’albero sradicato e sospeso in cielo, le barche sarcofago, raccontano del disvalore assegnato alla vita dei migranti annegati, all’ingiustizia ed al disvalore assegnato alle vite delle donne stuprate in attesa di traversare il Mediterraneo, al disvalore assegnato alla vita dei morti senza nome nei CPR, alla disuguaglianza delle periferie senza speranza del mondo intero.
Evocare o rappresentare? L’arte di Ringo of Dakar, sospesa tra queste due condizioni, rivela l’alchimia nascosta delle forme oltre la semplice apparenza delle cose e ci sollecita a riconferire, in un futuro non remoto, valore alla vita umana attraverso nuove forme di solidarietà e di rispetto culturale e sociale.
15
Nov