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La villa d’Este di Tivoli è un capolavoro del Rinascimento italiano e figura nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
Nel 2013 è stato il dodicesimo sito statale italiano più visitato, con 399.577 visitatori e un introito lordo totale di 1.957.712 Euro.
Ogni prima domenica del mese è possibile visitare Villa D’Este Gratuitamente
La storia
La villa fu voluta dal cardinale Ippolito II d’Este, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia (Ferrara 1509 – Tivoli 1572 ).
La storia della Villa si intriga con le vicende del cardinale: per l’essenziale contributo dato dal cardinale d’Este alla propria elezione, nel 1550, Papa Giulio III del Monte volle ringraziarlo nominandolo governatore a vita di Tivoli e del suo territorio.
Il cardinale arrivò a Tivoli il 9 settembre e vi fece un’entrata trionfale, scoprendo però che la residenza del governatore era un vecchio e scomodo convento benedettino, ora tenuto dai francescani, parzialmente riadattato.
Ippolito era abituato a ben altro, nella sua Ferrara, ma l’aria di Tivoli gli giovava e inoltre, grande cultore di antichità romane, era molto interessato ai reperti che abbondavano nella zona. Sicché decise di trasformare il convento in una villa. La villa sarebbe dovuta essere la gemella del grandioso palazzo che stava contemporaneamente facendo costruire a Roma, a Monte Giordano; così come il palazzo romano doveva servire ai ricevimenti per rinsaldare le amicizie dell’Urbe, così Tivoli doveva fungere da piacevole luogo d’incontri e colloqui più lunghi e meditati. Non a caso il luogo in cui sorse la villa aveva il nome di “Valle Gaudente”.
I lavori della Villa furono affidati all’architetto Pirro Ligorio affiancato da un numero impressionante di artisti ed artigiani. La realizzazione della villa seguì però le vicissitudini curiali del cardinale governatore, destituito nel 1555 dal papa Paolo IV Carafa, poi ripristinato nella carica da papa Pio IV nel 1560 , poi danneggiato nelle prebende dai pessimi rapporti di papa Pio V con i francesi, che erano da sempre i suoi grandi alleati.
Si dovettero inoltre acquisire i terreni necessari da ben due chiese appartenenti a ordini diversi, operazioni che durarono fino al 1566, e convogliare le acque dell’Aniene con nuovi cunicoli che provenivano dalle cascate.
Anche i materiali da costruzione creavano problemi: il permesso, ottenuto dal Senato di Roma, di utilizzare il rivestimento di travertino della tomba di Cecilia Metella per i lavori di costruzione della villa, venne successivamente revocato (non prima di aver asportato tutto il rivestimento della fascia inferiore del monumento, lasciandolo come oggi si presenta).
Il cardinale ebbe appena il tempo di godersi la solenne inaugurazione della villa avvenuta nel settembre del 1572 , con la visita del papa Gregorio XIII , e poi morì, a novembre dello stesso anno.
I primi proprietari della villa furono tre cardinali d’Este governatori di Tivoli: il fondatore, Ippolito II, Luigi fino al 1586 e infine Alessandro, fino al 1624 .
Quest’ultimo riuscì a mantenerne la proprietà diretta alla casa d’Este anche per quando, in futuro, la famiglia non fosse stata più presente nel collegio cardinalizio e realizzò manutenzioni e innovazioni decorative, tra le quali è degno di nota l’apporto di Gian Lorenzo Bernini.
Successivamente la villa e i suoi impianti, passati agli Asburgo, furono lasciati deperire e le collezioni antiquarie furono disperse, fino a quando un Hohenlohe, a metà ‘800, se ne innamora, la ripristina e per il resto del secolo la pone di nuovo al centro di intense attività artistico-mondane; uno dei frequentatori affezionati fu, all’epoca, Franz Liszt che alla villa si ispirò per alcuni brani delle Années de Pèlerinage ( Troisième année: Aux cyprès de la Villa d’Este, Thrénodie I – Aux cyprès de la Villa d’Este, Thrénodie II – Les jeux d’eaux à la Villa d’Este ).
Nel 1918, dopo la prima guerra mondiale la villa passò allo Stato Italiano che diede inizio ad importanti lavori di restauro, ripristinandola integralmente ed aprendola al pubblico.
Un’altra serie di restauri fu invece eseguita nel dopoguerra per riparare i danni fatti da alcune bombe cadute sul complesso durante l’ultimo conflitto mondiale.
La villa
Particolarmente interessanti sono gli interni, di cui il piano nobile fu decorato e dipinto da un nutrito gruppo di artisti sotto la direzione di Livio Agresti da Forlì.
Il giardino
L’abside di san Pietro della Carità dalla loggia centrale del palazzo
Lo splendido giardino, opera mirabile frutto del genio di Pirro Ligorio, si estende a partire dalla facciata posteriore della villa, rispetto all’ingresso attuale del palazzo, ed è articolato fra terrazze e pendii, con un asse longitudinale centrale e cinque assi trasversali principali, collegando e raccordando con maestria le diverse pendenze del giardino, utilizzando uno schema architettonico tipico delle città romane.
Pirro Ligorio costruì un sistema di tubazioni e una galleria lunga circa seicento metri, sotto la città di Tivoli, che adduceva l’acqua direttamente dall’Aniene fino ad una vasca: la portata era di ben 300 litri al secondo.
Tutte le fontane erano poi alimentate senza uso di alcun congegno meccanico, ma soltanto sfruttando la pressione naturale e il principio dei vasi comunicanti. Il risultato è solo in parte visibile ai giorni nostri e i numeri sono sorprendenti: 35.000 mq complessivi di giardini, 250 zampilli, 60 polle d’acqua, 255 cascate, 100 vasche, 50 fontane, 20 esedre e terrazze, 300 paratoie, 30.000 piante a rotazione stagionale, 150 piante secolari ad alto fusto, 15.000 piante ed alberi ornamentali perenni, 9.000 mq di viali, vialetti e rampe.
Il vialone
Scendendo la monumentale doppia scala progettata da Pirro Ligorio che, dopo un breve loggiato coperto, che lo collega la Sala Centrale, è il piano rialzato del Vialone, il primo e più grande viale del giardino, che si estende parallelamente alla facciata del palazzo per circa duecento metri e viene limitato da una parte, dalla Gran Loggia, e dall’altro dalla Fontana Europa. Qui il cardinale e la sua corte soggiornavano nei giorni più caldi, per godere della frescura e del piacere proveniente dalla vista del giardino che si staglia innanzi al Villa e per assitere agli spettacoli.
La Gran Loggia
Delimita il Vialone sulla sinistra della Villa. Fu realizzata fra il 1568 e il 1569 , anche se in realtà non fu mai ultimata interamente. Viene detta anche “Cenacolo” in quanto, grazie alla sua posizione prossima alle cucine, veniva spesso utilizzata come sala da pranzo, in quanto i commensali potevano avere il piacere di un pasto sontuoso all’aperto, godere della vista ed essere riparati dal sole e dall’umidità. La Loggia infatti ha alle spalle uno splendido affaccio sulle campagne tiburtine e uno straordinario paesaggio.
Grotta di Diana
Discendendo dalla villa, sulla sinistra di un vialetto, si trova la Grotta di Diana. Completamente decorata con mosaici di pietre, stucchi ad alto e bassorilievi e decorazioni a smalto, fu realizzata dai bolognesi Lola e Paolo Calandrino e da Curzio Maccarone. Il pavimento, come visibile da qualche traccia rimastaci, era in coloratissime maioliche dai più svariati motivi ornamentali. Le eleganti e pregevoli statue che adornavano la grotta raffiguravano due Amazzoni , Minerva e Diana cacciatrice, alla quale era appunto dedicata la grotta: queste si trovano ora al Museo Capitolino dove furono trasportate dopo che il Papa Benedetto XIV le acquistò. Alle pareti, oltre a rami di Cotogno e cesti di frutta in stucco, altorilievi di Nettuno, di Minerva, delle Cariatidi, delle Muse, con occhi di pietre preziose, sono rappresentate cinque scene a soggetto mitologico.
La Rotonda dei Cipressi
Si trova nella parte più bassa del giardino, vicina all’antico originario ingresso del Palazzo, su via del Colle. Essa altro non è che un piazzale a forma di esedra circolare, contornata da giganteschi alberi di Cipresso secolari, che svettano maestosi verso il cielo. Sono forse fra i più antichi esemplari esistenti, purtroppo non godenti di ottima salute, piantati al posto dell’originario chiosco in legno. Essa offre una splendida e affascinante vista d’insieme del palazzo e del giardino, che tanto stupore doveva provocare nel cinquecentesco visitatore. Gabriele d’Annunzio dovette essere vittima della bellezza di questo piazzale, ricordandone, in un verso del suo “Notturno”, gli alti Cipressi
Le Fontane
Fontana del Bicchierone
Detta anche “del Giglio”, questa fontana fu aggiunta quasi un secolo dopo la realizzazione della Villa, nel 1661, su commissione del cardinale Rinaldo D’Este a Gian Lorenzo Bernini. La fontana raffigura un calice dentellato (il ‘Bicchierone’ per l’appunto) sovrapposto ad un altro simile, entrambi sorretti da una grande conchiglia. L’effetto che si crea è di un armonioso gioco d’acqua poetico. La fontana fu attivata nel maggio del 1661 per onorare gli illustri ospiti della Villa, ma il suo zampillo fu successivamente ridimensionato dallo stesso Bernini, perché, essendo troppo alto, impediva la vista dalla Loggia di Pandora.
Fontana Europa
Posta sul Vialone, diametralmente opposta alla Gran Loggia, assume la forma di una sorta di arco di trionfo, formato da due ordini di colonne sovrapposte, dorico e corinzio, che delimitano un nicchione entro il quale era posto il gruppo scultoreo di Europa che abbraccia il Toro, che componevano una splendida fontana dalla quale fuoriuscivano le acque che ricadevano in una pregevole vasca marmorea, oggi perduta.
Fontana del Pegaso
Situata fra rocce e vegetazione, la fontana è formata da una vasca di forma circolare, al centro della quale si trova una grande roccia, sulla quale trionfa la statua del mitico cavallo alato Pegaso, nato dalla decapitazione di Medusa, rampante su due zampe e dalle ali spiegate, quasi stesse spiccando il volo dopo essersi abbeverato nella fonte. La composizione ricorda la storia di Pegaso che, giunto sul monte Elicona sbattendo il suo zoccolo sul terreno, fece sgorgare la fonte Ippocrene, sacra alle muse .
Sullo sfondo, la chiesa romanica di San Pietro alla Carità, verso la quale si apre uno dei cancelli della villa d’Este. La chiesa fu costruita nel V secolo sul sito di una villa romana – probabilmente la stessa della quale sono stati riportati alla luce alcuni resti sotto i pavimenti delle sale della villa – per ordine del tiburtino Papa Simplicio.
Cento Fontane
Progettate da Pirro Ligorio, fiancheggiano un viale lungo cento metri che congiunge la Fontana dell’Ovato con la Rometta. Allegoricamente i tre piccoli corsi d’acqua paralleli, che si formano a diverse altezze per l’alimentazione degli zampilli, rappresentano il fiume Albuneo, il fiume Aniene e il fiume Ercolaneo, i tre affluenti del Tevere (rappresentanto dalla Rometta), generati dai monti Tiburtini (rappresentati dalla fontana dell’Ovato).
I cento zampilli sono organizzati in due file sovrapposte di mascheroni dalle forme antropomorfe, mentre sovrastano il canale più alto, zampilli generati e alternati da sculture di gigli, obelischi, navicelle ed aquile estensi, simboli cari al cardinale: gigli di Francia e aquile (aggiunti nel 1685 da Francesco II di Modena) simboli della famiglia d’Este, la barca di San Pietro quale simbolo del potere papale. La suggestione di questo viale affiancato da gorgoglianti zampilli ha fatto da sfondo a numerosi film, come la scena del banchetto nel Ben Hur di Wyler .
Fontana dell’Ovato
Situata alla sinistra del viale delle Cento Fontane, in un luogo apposito leggermente in disparte è la Fontana dell’Ovato o Fontana di Tivoli, anch’essa progettata da Pirro Ligorio e realizzata nel 1567.
Anticamente in questa fontana confluiva l’acqua convogliata dal fiume Aniene attraverso un canale. Viene detta dell’Ovato, per la sua particolare forma ad esedra semicircolare con al centro la grande vasca nella quale finiscono tutte le acqua cadenti e zampillanti della fontana. Contraddistinta da una particolare elaborazione, è la fontana più barocca della villa, in particolare grazie all’effetto regalato delle rocce e dei massi ornamentali posti da Curzio Maccarone a voler creare una scenografia rappresentante i monti Tiburtini , dai quali discendono i tre fiumi, Aniene , Erculaneo e Albuneo , rappresentati da tre statue mitologiche.
Al centro vi è la Sibilla Tiburtina con in mano il piccolo Melicerte, figlio della ninfa Ino, simboleggiante il fiume Albuneo, realizzata da Giglio della Vellita, mentre ai due lati, entro nicchie, due statue di divinità fluviali, di Giovanni Malanca , rappresentano i fiumi Aniene e Erculaneo. Molto suggestivamente, si vede sulla sommità della parte rocciosa, la sovrastante fontana di Pegaso, che sembra inserirsi nella fontana e completare la composizione. Chiude la parte scenografica rupestre, una balaustra marmorea, che si apre nella parte centrale, per dar la possibilità alle acque di formare una sorta di cascata a cupola, sotto-percorribile, che si riversa nella grande vasca, a cui fa da sfondo la costruzione sottostante, un ninfeo semicircolare, nei cui pilastro stanno dieci ninfee che versano da vasi versano acqua, opera di Giovanni Battista Della Porta su disegno di Pirro Ligorio. Il parapetto della vasca è invece rivestito da vivaci ceramiche con particolari dello stemma Estense; difronte stanno, in apposite nicchie, due statue di stucco, sovrastanti due fontane a zampillo, mentre il piazzale è adornato da due grandi tavoli in pietra, e da secolari alberi di platano.
Fontana dei Draghi
La scenografica Fontana dei Draghi o della Girandola, per la sua posizione centrale, risulta essere il cuore del parco. Ideata e costruita da Pirro Ligorio, fu realizzata, secondo la leggenda, in una sola notte, nel settembre del 1572, come omaggio al papa Gregorio XIII che era ospite della villa, il cui stemma della famiglia, i Boncompagni, aveva simboleggiati dei draghi alati. Più probabilmente la visita del pontefice convinse Luigi D’Este ad erigere la fontana.
Essa è formata da un gruppo scultoreo centrale, formato da quattro orridi draghi disposti a circolo, che si danno le spalle, e che sputano uno zampillo d’acqua, mentre un potente e alto getto parte dal centro del cerchio. Alle spalle, sotto la balconata del viale superiore delle Cento Fonti, si apre una nicchia entro la quale sta una grande statua di Ercole.
Una doppia scalinata, abbraccia armoniosamente la fontana, raccordando con armonia i diversi piani, mentre sulle colonnette una canale crea un piccolo ruscello di acque, e i vasi innalzano zampilli che terminano a circolo nella vasca dei draghi. La fontana voleva essere un’allusione all’episodio mitico dell’undicesima fatica di Ercole, che, per impadronirsi dei pomi d’oro del Giardino delle Esperidi, uccide il drago dalle cento teste Ladone. Originariamente la fontana era detta della Girandola, per i complicatissimi meccanismi e artifici idraulici ideati da Tommaso da Siena , che riuscivano a riprodurre in una velocissima sequenza di spari, scoppi come di petardi, tuonate come quelle di cannoni, crepitii, esposioni e colpi laceranti come di archibugi e di altre arme da fuoco: una girandola di fragori e rumori di ordigni da fuoco, ispirata a quella di Castel Sant’Angelo a Roma.
La Rometta
Discendendo dalla villa, in fondo al viale delle Cento Fontane, si apre il belvedere della Rometta aperto verso la pianura romana. L’insieme di vasche e zampilli trova il suo centro nella grande vasca con al centro la rappresentazione di Roma in trono, scenograficamente incorniciata sulla sinistra, in origine, dalla citazione dei monumenti più belli e rappresentativi che caratterizzavano la città antica. Da ciò il nome. Progettata da Pirro Ligorio e forse anche da Ippolito II personalmente, fu realizzata nel 1570 dal fontaniere Luigi Maccarone . Posizionata su un grande basamento, regala ai visitatori una splendida vista dalla retrostante terrazza: vi si accede tramite un ponticello che scavalca un canale dalla forma curva, rappresentante il Tevere, che è alimentato da due ruscelli, il cui confluire rappresenta l’immissione del fiume Aniene nel Tevere. Al centro del corso d’acqua sorge una antica nave romana, rappresentante l’ Isola Tiberina , il posto in cui si istaurò il primo nucleo romano, essendo un punto del fiume di facile guado ; l’Isola era altresì sede di numerosi ospedali, ai quale probabilmente allude il serpente che si svolge sotto il ponticello, simbolo del dio della medicina Esculapio . Al centro della fontana sta la statua di Roma Vittoriosa, armata di elmo, corazza e lancia, mentre al lato il gruppo scultoreo della Lupa che allatta Romolo e Remo . Adornavano la fontana in origine, molti altri gruppi scultorei simboleggianti i monumenti della Roma antica, (l’ Arco di Tito , l’ Arco di Settimio Severo , l’ Arco di Costantino , la Colonna Traiana , il Pantheon , il Colosseo e così via molti altri), tutti realizzati da Pierre de la Motte su disegno di Pirro Ligorio, dei quali non ci rimane traccia, se non nei disegni del Venturini del 1685: prima della demolizione di una buona parte del complesso nel XIX secolo , doveva apparire ben diversa la fontana nel suo insieme, adorna delle tante statue e ricca di particolari.
Fontana di Proserpina
Vicina alla Fontana della Civetta, alla quale si lega dal punto di vista architettonico, ha la funzione di equilibrare i due diversi piani del giardino, e venne ideata come sala da pranzo all’aperto. La fontana è composta da una ninfeo centrale e due nicchie laterali, interposte da quattro colonne tortili avvolte da tralci di vite in stucco, e da due scalinate che permettono la comunicazione fra i due diversi livelli del parco. Deve il suo nome a Proserpina o Persefone , mitica figlia di Zeus e Demetra , rapita da Ade o Plutone e condotta nell’Oltretomba dove ne divenne regina. La composizione rappresenta il viaggio verso gli Inferi di Proserpina, che si trova su una barca a forma di conchiglia trainata da cavalli, mentre due Sileni suonano arpe marine e due delfini agitano le acque.
Fontana della Civetta
Posta sulla sinistra della fontana dei Draghi, al termine del viale, fu costruita nel 1596 dal fiorentino Raffaello Sangallo , su progetto di Giovanni Del Duca . È detta della ‘Civetta’ o degli ‘Uccelli’ per il complicato meccanismo che, sfruttando la caduta dell’acqua, faceva si che degli uccelli metallici, comparissero su dei rami di bronzo che si intracciavano nella nicchia della fontana, emettendo dei suoni simili ad un cinguettio; un altro meccanismo invece faceva apparire una civetta, che col suo canto ingrato, impauriva gli uccelli e smorzava il loro canto. Quanto questa fontana e i suoi mirevole meccanismi idraulici riuscissero a stupire gli ospiti della villa, è ampiamente tramandato dai molti scrittori che, rimanendo meravigliati dal sorpredente congegno, ne danno testimonianza. Purtroppo il meccanismo è andato perso nel tempo, e solo negli ultimi anni, dopo un lungo restauro della fontana, si è ricreato un meccanismo che solo in parte è simile all’originale. Ma anche altre parti della fontana sono andate perse: i mosaici del ninfeo centrale, gli altorilievi, le statue romane, e i Fauni e i Satiri di Ulisse Macciolini da Volterra . Ci rimane, al centro della nicchia, lo zampillo d’acqua che scende formando delle cascatelle su due livelli, formati da conche una volta sostenute dal gruppo scultoreo. Interpolate alla nicchia, stanno due colonne in mosaico sulle quali si avvolgono a spirale delle viti con pomi, richiamando l’episodio erculeo della fontana dei Draghi; in alto invece, domina la fontana, lo scudo di Ippolito II sorretto da due angeli, ai cui lati, sopra le colonne, sono poste due figure femminili; i simboli estensi dei gigli e dell’aquila ornano, invece, la parte più alta della fontana.
Fontana dell’Organo
Fontana dell’Organo Posta superiormente alla Fontana di Nettuno, completandone la scenografia, la Fontana dell’Organo, o Organo Idraulico, deve il suo nome al prodigioso meccanismo ad acqua che appunto recava al suo interno, che faceva si che si udissero dei motivi d’organo. Costruita fra il 1568 e il 1611, è formata da un alto edificio di stile palesemente barocco, progettato da Pirro Ligorio, la cui facciata è ornata da una serie di decorazioni ispirate a motivi floreali, sirene, simboli araldici, vittorie alate e conchiglie marine: quattro colossali talamoni , opera di Pirrin del Gagliardo , sostengono lo pseudo-arco; al centro un abside nel quale, secondo il progetto originario, doveva trovare posto la Fontana della Natura, poi sistemata dove si trova attualmente; le due nicchie laterali più piccole, accolgono due statue, di Apollo e Diana . Una vasca ovale limitata da una balustra a colonnine, contorna la struttura, dando l’impressione che l’edificio sia sorto dalle acque. Fu il cardinale Alessandro d’Este a far aggiungere, successivamente, nella nicchia centrale, l’armoniosa edicola, o piccolo tempio, realizzato dal Bernini , per proteggere l’organo idraulico. Il congegno fu realizzato dal francese Claudio Vernard ; il suo funzionamento si basava sulla caduta delle acque, tramite una condotta, in una cavità sotterranea a volta, dove provocavano, per compressione, un potente getto di aria che veniva forzato in una tubatura che fungeva così da mantice, e insufflava l’aria nelle canne dell’organo; un altro potente getto di acqua invece, azionava un ruotone o cilindro dentato fissato su un armatura di ferro, che era di rame, e i cui denti andavano ad urtare i tasti dell’organo, determinando delle bellissime melodie. Il siffatto meccanismo era motivo di grande meraviglia per gli ospiti della villa, tanto che si narra che durante la visita di Gregorio XIII del 1573, il Pontefice rimase così stupefatto da quei suoni, che volle controllare di persona che nessuno stesse suonando. Più tentativi sono stati fatti per cercare di ripristinare il meccanismo, e solo l’ultima serie di lavori alla quale è stata sottoposta la fontana, hanno fatto si che la fontana dell’organo potesse risuonare nuovamente.
Fontana di Nettuno
Fontana di Nettuno Ninfeo centrale La fontana più imponente e scenografica della villa, per la grande quantità di acqua e i potenti zampilli che proiettano in aria alti schizzi, è anche la più recente: fu realizzata nel 1927 ad opera di Attilio Rossi , con la collaborazione dell’ingegnere Emo Salvi, restaurando la suggestiva cascata del Bernini, fortemente degradata da due secoli circa di abbandono, e riorganizzando i vari livelli. La bellezza di questa fontana che possiamo ammirare come da originario progetto, nelle incisioni di Venturini e nei disegni di Fragonard , che divenne un modello per numerose fontane settecentesche, comprese quelle della celebre Reggia di Caserta . Grazie alla grande sensibilità del grande artista novecentesco, che è riuscito ad innestare sull’originale, il nuovo complesso architettonico e idrico, si è venuta a creare una splendida ed armoniosa composizione che si sviluppa lentamente dalla base, e intensifica dolcemente, per vivacizzarsi di più nella parte superiore ed esplodere verso il cielo. La parte più alta è formata dalla balaustra del piazzale antistante la fontana dell’Organo, al di sotto del quale, si trovano tre ninfei praticabili e intercomunicanti tra loro, dove il fragoroso rumore delle acque prepotentemente scroscianti è assordante: i due laterali sono formati da ventagli di acque, mentre quello centrale da una violenta cascata a gravità. Dalla base della terrazza dei ninfei, da un canale più esterno, sorgono dodici potenti zampilli, sei per lato, digradanti in altezza dal centro verso l’esterno. Scavalca invece la medesima balconata, l’imponente massa d’acqua della berniniana cascata, originalmente costituita in pietra scolpita a grezzo, per ricordare la roccia naturale, che poi va a rompersi in un bacino più basso, che ne suddivide l’acqua in tre cascate più basse, una centrale e due laterali. Al di sotto di questo, sta un ninfeo, offuscato della velatura dell’acqua cascante. Raccoglie parte dell’acqua della cascata, e quella degli zampilli superiori, un bacino dal quale, ai due lati, si innalzano verso il cielo, dei potentissimi getti. Grandi vasche stanno al di sotto, ognuna più bassa dell’altra, in modo da far cadere le acque bordanti, dall’una all’altra, formando delle placide cascate. L’ultima vasca acquieta le acque della fontana, per poi riversarle nelle prospicienti Pescaie, creando una trasformazione graduale e completa delle acque, da prorompenti a calme. Proprio a completare la scenografia della fontana, sono in basso gli specchi d’acqua delle Peschiere, e in alto il complesso architettonico della fontana dell’Organo. La fontana di Nettuno doveva avere, secondo il progetto originario, una statua raffigurante il dio delle acque posizionata in maniera strategica alla fine del percorso delle acque, cioè sul bordo dell’ultima Peschiera, rivolta verso la fontana. Se non chè la statua non fu mai realizzata, per cui si ripiegò ponendo, nel ninfeo inferiore, il busto di Nettuno del XVI secolo, originariamente destinato ad una fontana del Mare, mai realizzata a causa delle difficoltà economiche in cui si trovava il cardinale Ippolito II.
Le Peschiere
La prima Peschiera Poste in successione innanzi alla fontana di Nettuno, da cui ne ricevono l’acqua, e contornate da una lussureggiante vegetazione, le Peschiere sono tre grandi bacini di forma rettangolare. Sono animate da zampilli che nascono dai vasi disposti lungo i loro bordi (otto per vasca), che, assumendo varie intensità, increspano in maniera differente e decrescente, le tre vasche, continuando quella gradazione di moto delle acque iniziata nella fontana di Nettuno, per scemarla fino all’ultimo bacino, vicino alla terrazza panoramica, dove doveva trovare posto la statua del Dio del Mare, a completamento della composizione della precedente fontana. Oltre che luogo piacevole e rilassante per il passeggio, le Peschiere, al tempo della loro costruzione, servivano ad allevare delle pregiate specie di pesci d’acqua dolce, per dare la possibilità a chi soggiornava presso la villa, di dilettarsi nella pesca e di godere a tavola dei piaceri ittici. A tale scopo, nelle loro vicinanze, erano dei lussuosi chioschi atti a dare conforto a chi voleva riposare durante la passeggiata, e a custodire le attrezzature necessarie alla pesca.
Fontana di Arianna
È posta quasi al centro del parapetto della terrazza panoramica del Parco, spalleggiante la splendida campagna romana. Ormai priva delle statue che originariamente la ornavano, della cui sorte non si hanno notizie, prende il suo nome dalla statua di Arianna dormiente che in origine era posta nella nicchia centrale.
Fontane delle Mete
Fontane rustiche (o “delle Mete”)
Sono due fontane situate nella parte bassa del giardino, sul viale che costeggia la terrazza panoramica della fontana di Arianna, al centro di due aiuole. Sono composte da tre grossi massi di forma circolare, posti gli uni sugli altri in ordine decrescente, e ricoperti da muschi; sulle loro sommità si trovano due rispettivi zampilli. Queste due fontane sono raffigurazione della fontana della Meta Sudans di Roma, posta tra l’Arco di Costantino e il Colosseo e dove i gladiatori romani si lavavano dopo i combattimenti.
Fontana della Natura o dell’Abbondanza
Fontana dell’Abbondanza
Detta anche Fontana della Madre Natura, o Fontana dell’Abbondanza, è posta a ridosso del muro di cinta, sul lato settentrionale del giardino, vicino al vecchio ingresso della Villa su Via del Colle.
Su un fondo decorato a tartaro tiburtino, materiale di concrezione calcarea molto usato nelle decorazioni della parte inferiore della villa, è posta la copia in travertino della Diana di Efeso, dalle molte mammelle (secondo alcuni studiosi si tratterebbe in realtà di scroti di toro, animale legato al culto della dea), che simboleggiano la fecondità della natura e lo scorrere ininterrotto della vita.
La statua fu commissionata allo scultore fiammingo Gillis Van den Vliete (italianizzato in Giglio della Vellita o Egidio della Riviera) da Ippolito II, per ornare la nicchia centrale della Fontana oggi detta dell’Organo. Alessandro d’Este la fece spostare nel 1611 nell’attuale posizione, più nascosta, per non andare contro i dettami imposti dalla Controriforma, che condannavano opere a soggetto pagano, e al suo posto fece costruire un piccolo tempio per proteggere l’organo idraulico che diede il nuovo nome alla fontana superiore.