Quattro buone ragioni per guardare il pilot di Lost in Space, la nuova serie Netflix. Tra Stephen King, Steven Spielberg e Stan Lee. La nostra recensione.

Quattro buone ragioni per guardare il pilot di Lost in Space, la nuova serie Netflix. Tra Stephen King, Steven Spielberg e Stan Lee. La nostra recensione.

IAN SOMERHALDER, DA THE VAMPIRE DIARIES ALLA NUOVA SERIE NETFLIX

Stephen King l’aveva capito. Intrappolare una famiglia nel ghiaccio – di un albergo infestato o di un pianeta sconosciuto – è un meccanismo narrativo che funziona. La neve, persino quella che fiocca fuori dalle finestre ai pranzi di Natale, tira fuori tutto l’inevitabile non detto che c’è tra mamma, papà, figli e parenti acquisiti. Si rivanga il passato, segreti e conflitti vengono spacchettati come regali sotto l’albero.

Nessuno è buono e si finisce per prendere scelte estreme. Ci si mette alla prova per capire, se tutto va bene, che un nucleo familiare non è che un gruppo di sconosciuti uniti geneticamente dal caso per essere più forti del singolo. Ogni famiglia – che sia in viaggio per colonizzare altri pianeti in seguito ad eventi apocalittici sulla Terra o riunita per il sessantesimo compleanno del padre come nel recente “Here and now” di Alan Ball per HBO – è persa nello spazio.

Steven Spielberg aveva ragione. Il cocktail chiamato avventura è fatto di pericolo, terrore e meraviglia in parti uguali. “Lost in space” segue la lezione del maestro mescolando un’adolescente intrappolata nel ghiaccio, una madre ferita e un bambino di fronte a un paese delle meraviglie aliene e al suo incontro ravvicinato del terzo tipo. Un buon narratore è quello che si pone davanti vicoli ciechi di modo che lo spettatore possa chiedersi continuamente come li risolverà e restare stupito quando lo fa in maniera semplice e coerente. Nel pilot di “Lost in space” i vicoli ciechi si moltiplicano di continuo facendo passare l’ora di visione in pochi minuti.

Stan Lee c’era arrivato prima di tutti. Se vuoi arrivare all’immedesimazione di tutti i lettori, punta sulla famiglia. I padri saranno Reed Richards, le madri la Donna Invisibile, gli zii Johnny e Ben Grimm e il Dottor Destino, i figli Franklin e Valeria. Una buona storia di eroi o supereroi ha sempre per protagoniste le generazioni che convivono nella stessa casa. L’invasione dell’Uomo Talpa o la necessità di sopravvivere a centinaia di migliaia di anni luce da Casa (“Non chiamarla casa. Non è più la tua casa. Chiamala Terra”) impallidiranno di fronte a litigi tra sorelle, senso d’inadeguatezza dell’ultimo figlio e genitori sul punto del divorzio.

Neil Marshall, chiamato a dirigere il primo episodio di LOST IN SPACE dopo le esperienze con Game of Thrones, Black Sails, Hannibal e Westworld, fa propria l’intuizione di Stephen, Steven e Stan. Gira con sicurezza uno dei pilot migliori dell’anno basandosi ma non facendosi schiacciare da una serie culto degli anni ’60 e dimenticando il film del 1998. Adesso sono piuttosto curioso di vedere se il resto della serie manterrà le promesse dell’episodio iniziale.

 

Lost in Space è una serie Netflix in 10 episodi, creata da Matt Sazama e Burk Sharpless. Parla di una famiglia di naufragi spaziali non a caso chiamati Robinson. Tra i suoi protagonisti ci sono Toby Stephens, Molly Parker e il giovanissimo Maxwell Jenkins. C’è anche Parker Posey che fa il “cattivo” Dottor Smith e che spero sarà all’altezza di Gary Oldman nei prossimi episodi. Buon naufragio.