I dati, percepiti come neutrali e oggettivi, possono essere invece fonte di discriminazione quando mettono in condizioni di scegliere cosa includere e cosa escludere mantenendo le strutture di potere attuali, che sono fonte di oppressione e ingiustizia sociale per milioni di persone. I dati sono infatti «situati», ovvero sono profondamente influenzati dal contesto in cui vengono raccolti.
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Chi ha il potere di raccogliere e analizzare i dati? E chi non ce l’ha? Chi è che consulta chi? Sono domande che Donata Columbro, nel suo nuovo libro edito da Il Margine Quando i dati discriminano, invita lettrici e lettori a fare e a farsi per evitare che questi, invece di aiutare, diventino amplificatori di discriminazioni a danno di soggetti come le minoranze.
I dati, possiamo fidarci veramente di loro?
«Lo dicono i dati»: ma siamo sicuri che quei dati così allettanti, che spesso confermano il nostro giudizio, non nascondano invece un pregiudizio? Quando si legge un articolo online o si apprezza un’infografica colorata è importante chiedersi chi trae beneficio da quella rappresentazione, e chi può esserne invece discriminato: i dati grezzi, infatti, cioè ancora non elaborati dagli esseri umani, oggettivi e neutrali, non esistono. Il contesto influenza i dati, che sono il risultato di un’indagine, non la sua premessa.
Nel tentativo di risultare obiettivi, incorruttibili e incontestabili, spesso si pensa che citare «i dati» porti in quella direzione. Ma la strada verso l’equità non passa dalla neutralità, quanto dalla consapevolezza della posizione che occupiamo nel mondo.
Nelle pagine del suo nuovo libro, Donata Columbro indaga a fondo il lato inconscio dei dati: universalizzando e standardizzando concetti come quello di “normalità”, si è infatti spesso più escluso che incluso, creando una rappresentazione del mondo che ha eliminato le anomalie. Stabilire però chi è dentro o fuori le statistiche non è un atto neutrale, ma una scelta, e come tale andrebbe insegnata e indagata.