Starbucks, tutto quello che c’è da sapere sul gigante della caffetteria appena arrivato in Italia

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C’è chi lo ama e chi lo odia, chi non perde occasione per farne una questione di cultura e chi […]
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C’è chi lo ama e chi lo odia, chi non perde occasione per farne una questione di cultura e chi non vede l’ora di sentirsi protagonista di una serie tv, intento a sorseggiare il suo frappuccino (che però nel negozio di Milano non viene servito).

Per ora, Starbucks ha aperto a Milano, causando chiusure di strade e lunghe code di impazienti clienti: la prima impressione è che sia molto più fighetto di come sia mai stato nessun altro Starbucks in nessuna altra parte del mondo.

Ma chi c’è dietro a Starbucks, il colosso della caffetteria che ha avuto l’ardire di sbarcare in Italia proponendo la sua personalissima visione del caffè?

Starbucks, la genesi: il fondatore, il logo e il nome

Non tutti sanno che il primissimo Starbucks, nel 1971, vendeva solo chicchi di caffè e venne aperto da tre personaggi che non avevano nulla a che vedere con bar e ristorazione: il vero fondatore è considerato Howard Schultz, che ebbe l’idea di investire in una caffetteria proprio durante un viaggio a Milano, nel quale venne a contatto con il mondo e la cultura dei bar italiani. Infatti la risposta-tipo di Starbucks alla domanda retorica che segue l’apertura nel nostro paese, “volete insegnarci a fare il caffè?” è “No, vogliamo mostrarvi cosa abbiamo imparato”

Il logo di Starbucks era inizialmente molto più sconcio: la sirena, che aveva due code ed era decisamente più nuda,  venne “censurata” dai capelli solo qualche tempo dopo. Le due code ci sono ancora, anche se non si distinguono quasi più. Il nome venne scelto per caso e non fu ispirato dal celebre personaggio di Melville, anzi il contrario: un pubblicitario amico di Schultz lo convinse a scegliere un nome che iniziasse per “st”, spiegandogli che le parole con questa iniziale sono particolarmente “forti”. In seguito per caso Schultz e i suoi collaboratori si imbatterono nel nome “Starbo”, cittadina mineraria del Canada, e solo allora venne fatto il collegamento con l’ufficiale Starbuck.

Starbucks, menù e curiosità

Se vi metteste d’impegno per provare ogni combinazione possibile del menù di Starbucks, vi ci vorrebbe forse una vita intera di consumazioni: le varianti sono circa 87mila. I caffè di Starbucks, come d’altronde tutti i caffè americani, a noi italiani sembrano “acqua”, ma in realtà contengono moltissima caffeina: circa 330 mg. Anche il cibo non scherza in quanto a calorie: panini e dolci si aggirano tutti, in media, fra le 400 e le 500 Kcal. Un doppio cheeseburger di McDonald’s ne fa 430.

Lavorare in Starbucks è un ottimo affare: Schultz si impegna a trattare il meglio possibile i suoi dipendenti, pagando loro completamente le spese mediche (e in America non è cosa da poco). I grembiuli verdi della catena sono personalizzati (esiste quello per i militari, per i non udenti, per i coffee master) e contengono tutti un incoraggiamento scritto, visibile dal dipendente quando lo infila: “Creiamo momenti di ispirazione nelle giornate di ogni nostro cliente” e ancora “anticipa, connettiti, personalizza, possiedi”

Starbucks, teorie del complotto

Le teorie del complotto non possono mancare, soprattutto quando qualcosa diventa famoso in tutto il mondo. Dietro Starbucks ce ne sono almeno due: si dice che la sit-com Friends sia stata creata appositamente per manipolare i consumatori dirottandoli dai pub verso i coffee shop. Prove schiaccianti? La serie è del 1994, Starbucks è stato quotato in borsa nel 1992. Rachel Green avrebbe nel cognome un riferimento al colore fondamentale di Starbucks. Un po’ pochino ma tutto fa brodo.

L’altra teoria riguarda l’abitudine dei baristi di sbagliare il nome del cliente sul bicchiere: sarebbe in realtà una cosa fatta di proposito, per favorire la viralità e ottenere pubblicità gratis. Cosa c’è di più ricordabile e fotografabile (oggi anche condivisibile sui social) di un bicchiere con scritto “andreiu” al posto di Andrea? Nella realtà, i baristi di Starbucks sono in piedi dall’alba e servono una clientela multiculturale a ritmi elevatissimi: sbagliare lo spelling del nome è quanto meno probabile…

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foto @Shutterstock

 

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